Storia
Devo innanzitutto fare un’ovvia premessa prima di
annoiarvi a morte: io non sono stato svezzato – per mia fortuna –
nella Kingston dei ruggenti anni ’60 - anche se devo ammettere che
durante il mio breve viaggio sulla Green Island un piccolo rude boy,
fatto di crack, l’ho incontrato e mi ha pure minacciato con un
classico, famigerato “ractchet"! - e, quindi, non ho certo la pretesa
di sapere cosa pensavano i rude boys e come effettivamente se la
passavano, ma da quello che ho visto, ascoltato o solo sentito da
quando sono un appassionato di musica ska (anche parlandone coi
protagonisti musicali) mi sono fatto una mia idea precisa che, tosto,
vi propino cominciando da alcuni dati storici in ordine rigorosamente
non cronologico.
Il primo a nominare i rude boys in un brano Ska è, quasi certamente,
Prince Buster con la sua ottima "Rude Rude Rudy" del 1965.
Nell’introduzione dell’affascinante strumentale Prince Buster dice in
tono declamatorio: "You say you are a rude boy/You also say you can't
go to jail/But you live in a glass house" e, conseguentemente,
ammonendo: "So don't throw stones".
Notare che Prince Buster è piuttosto qualificato nel cantare di rude
boys essendo stato da ragazzino capo di una gang, avendo tirato
semiprofessionalmente di boxe ed essendo stato per qualche anno capo
del “servizio d’ordine" di Coxone. La leggenda narra che durante uno
show del sound system di Coxone, Buster abbia “salvato il culo"
all’aiuto DJ, talentscount e uomo “tuttofare" di Mr. Dodd, Rainford
Hugh “Lee" Perry, da una coltellata sferratagli dall’anonimo dance
crasher di turno che voleva dimostrare quanto fosse rude (e del quale,
successivamente all’evento, non si è saputo più nulla).
Se quello di Prince Buster è, dunque, il primo brano in cui viene
pronunciato il nome "rude boy" (l’ambito del brano, come si intuisce
dal testo riportato, è pedagogico), l'attitudine ad esserlo era in
voga già da almeno 6 anni, sbagliandomi in difetto solo se lo shuffle
strumentale accreditato al Duke Reids’ Group (Arkland Parks, Cluett
Jhonson, Rico Rodriguez ed Ernest Ranglin) ed intitolato "The Rude
Boy" fosse stato registrato precedentemente al 1959 (come del tutto
probabile atteso che the Duke aveva iniziato a registrare nel 1957 e
solo successivamente, in concomitanza con la diffusione dei
giradischi, stampò in serie 45 giri). Oppure, sbagliandomi del tutto
nel caso che lo stesso brano sia stato semplicemente reintitolato al
momento dell’uscita in vinile.
In effetti, comunque stiano le cose, chi meglio del produttore del
pezzo Mr. Arthur “the Duke" Reid, un ex poliziotto che andava in giro
con un bel cannone infilato nella cintura dei pantaloni per incutere
timore, era più adatto a concedere il primo riconoscimento pubblico
della loro esistenza ai più cattivi dei ragazzi dei ghetti di
Kingston?
Nel periodo "clou" dello Ska (1964/65) si parla, intendendo sempre lo
stesso fenomeno, anche di "Hooligans" (the Wailers, un gruppo cult per
i rude boys di TrenchTown che avevano esordito neppure un anno prima
con “Simmer Down" anch’essa favorita dai rude boys) e di "Dance Hall
Crashers" (Alton Ellis & The Flames [Winston Jarrett]) riferendosi
alla medesima realtà.
Ad aggiungere “carne al fuoco" ci si mettevano, volontariamente o
meno, anche gli artisti: famosi sono gli scontri musicali che
avvennero tra i fan di Derrick Morgan e Prince Buster (quando il primo
lasciò il secondo per andare a lavorare per Leslie Kong, Buster gli
dedicò una sprezzante “Blackhead Chinaman" e Morgan gli rispose con la
famosa “Blazing Fire").
Si trattava di invettive contro i rivali, molto comuni nella
tradizione musicale giamaicana (ricordo Lee Perry contro Prince Buster
in “Prince in the pack", un giovanissimo Delroy Wilson lanciato
all’attacco sempre di Prince Buster da Coxone con “Spit in the Sky" e
“Joe Liges") fatte solo per gioco, per gusto dello scherno come
testimonia il fatto che lo stesso Perry mentre scriveva canzoni
pungenti come “Help the Weak" contro “l’avversario" partecipava alle
sue session per “Judge Dread" e “Ghost Dance".
Nel caso di Morgan e Buster, però, tali invettive vennero prese così
sul serio dai rispettivi rude boy fan che questi si davano mazzate in
giro per le dance hall di Kingston, a colpi di lama!
Per diretto interessamento dei politici giamaicani i due dovettero
addirittura stringersi la mano pubblicamente per dimostrare ai loro
esagitatissimi aficionados che, in realtà, di acredine tra di
loro non ce n’era mai stata.
Il periodo più duro di scontri rimane fotografato nella musica del
1966/1967 durante i quali il termine "rude boy" è, in Giamaica,
nazionalmente acquisito. In realtà, tra i rude boys ci sono
semplicemente migliaia di giovani, letteralmente figli di nessuno,
poveri com’è dolorosamente povero il Terzo Mondo, che vedevano nella
figura del rapinatore - in quello che faceva la grana facile e che
perciò poteva permettersi anche gli status symbol propinati via cinema
- la possibilità di “raggiungere lo scopo" velocemente, a qualsiasi
costo…tanto, da perdere, nessuno di loro aveva nulla.
Alcuni, senza ombra di dubbio, sono stati salvati dall’arte della
musica che, a ben guardare è stato un altro modo, molto meno
pericoloso, di guadagnarsi quegli stessi status symbol. Forse anche
per questo, anche la competizione musicale è sempre stata di una certa
cruenza in Giamaica.
Un gran numero di brani, insomma, tra il 1966 ed il 1967 (ne danno una
esaustiva summa la mitica raccolta della Trojan del 1993 “Rudies All
Round" opportunamente sottotitolata “Rude Boys Records 1966/1967" e
quella che l’aveva preceduta “Tougher than Tough" del 1992) sono
dedicati a quelli che vengono ora definiti da tutti come "Ruud Buois"
e che, in effetti, crearono parecchi disordini nella città caraibica,
tanto da costringere il governo a mandare i soldati ("Copasetic" dei
Rulers e “Gunmen Coming To Town" degli Heptones, per tutte) a
presidiare le strade e a dar man forte ad una polizia famosa - anche -
per la propria brutalità. (Lì, come condanna per tutta una serie di
reati, davano frustate, mica patteggiavano!).
Sono di tale periodo alcuni degli ska/rocksteady più affascinanti che
siano mai stati registrati in Giamaica: “Too Hot" sempre di Prince
Buster (come la citata “Judge Dread" in cui Buster, nelle vesti del
Giudice Terrore, condanna tra gli altri il rude boy Emmanuel Zacharias
“Zackie" Pom, ovvero Lee Perry, a 400 anni di galera!), “Rude Boy
Train" e “Rudy Got Soul" di Desmond Dekker", “Blam Blam Fever" dei
Valentines (aka the Silvertones); “Rudie Bam Bam" dei Clarendonians,
“Rudies All Round" di Joe White e tante altre ancora. Molte, come si
capisce dai titoli sono “a favore", inneggiano ai ragazzi rudi, altre,
condannano le pessime attitudini, altre ancora vogliono portare alla
retta via tipo la super famosa “Rudy A message To You" di Dandy
Livingstone.
Alcune, in particolare, facevano riferimento indirettamente alle gesta
di un vero rude boy, tale Vincent “Ivanhoe" Martin, detto “Rhyging"
della cui vita dà precise informazioni Chris Prete nel retro copertina
dell’album Tougher Than Tough (Trojan 1992) un disco dedicato al Rude
boy ska, rocksteady & reggae.
Vincent Martin era un tipo bassissimo, cattivissimo e con un innato
odio delle leggi. Non aveva, forse, tutti i torti dato che nessuna
legge gli aveva permesso di guadagnarsi da vivere legalmente da
quando, appena quattordicenne, era scappato dalla casa di campagna
infilandosi in un camion che viaggiava alla volta di Kingston.
Da piccolo criminale, dopo alcuni vittoriosi scontri con la polizia
che lo ricercava per una serie di rapine, divenne un mito per chi
abitava i malfamati quartieri di Kingston 11. Quella stessa gente lo
protesse, poi, a spada tratta dalle forze di polizia una volta che
Martin evase in maniera rocambolesca dal penitenziario dove era stato
appena portato.
La gente malfamata lo considerò da subito un eroe, fino alla sua
spettacolare morte, questa si, degna di un film, crivellato di colpi
dalla polizia sulla spiaggia di Lime Clay non prima, però, di aver
ammazzato 3 poliziotti ed averne feriti altri 2.
I fatti sono efficacemente raccontati dal film culto (non solo per la
fantastica colonna sonora!) “the Harder They Come" di Perry Hanzel del
1971 in cui il leggendario rude boy venne interpretato da un
insospettabilmente bravo ed artisticamente adulto Jimmy Cliff.
Il film, consigliatissimo a chi volesse approfondire l’argomento e di
cui SkabadiP ha avuto modo di
occuparsi, è da circa un anno disponibile in formato DVD, quindi,
se non avete idee per i regali di Natale…
Nel film, comunque e senza indulgenze giustificazioniste di ambito
sociologico (sapete, cose tipo: “è colpa della società"), il
personaggio principale non è costretto a diventare un rude boy, fa
solamente e stoltamente delle scelte sbagliate che lo portano a
diventarlo. Ed in più lodiventa per una ragione piuttosto futile, per
raggiungere determinati status symbol facendolo come nei film ed
assumendo l’atteggiamento dei duri delle pellicole western (quelli di
Sergio Leone o con Franco Nero andavano forte!), gangster (“Alcapone
guns don’t argue!") o spy story (007!).
Nella ricostruzione del regista e documentarista Perry la cosa è
accentuata perché “Ivanhoe Martin" interpretato da Cliff è anche un
eccellente cantante e compositore e, quindi, dotato di una possibilità
in più per emergere che, forse, a “Rhyging" mancò!
Col cambio dallo ska al rocksteady sembra che tutti i malanni sociali
della Giamaica esplodano insieme alla delusione per un troppo
propagandato benessere da parte dei politici e del quale, nei fatti e
a ben 4 anni dalla raggiunta indipendenza, non v'era alcuna traccia
nella pesante realtà sociale di tutti i giorni.
La gente è in costante emigrazione dalle campagne verso la sempre più
popolosa Kingston (come testimonia il citato film) e non è un caso che
gli Ethiopians, nella metà del 1968, siano diventati largamente famosi
proprio con “Everything Crash", una canzone che descrive
meravigliosamente bene una situazione che sembra poter solo
peggiorare: “What gone bad a morning can’t come good a evening woy,
Every day carry a bucket to the well, one day the bucket bottom
mus’drop out, Every Crash!" cantavano gli Ethiopians.
Tra l’estate del 1967 e la primavera del 1968 la situazione era,
infatti, tale che la polizia del Primo Ministro Shearer aveva
ammazzato ben 31 persone in varie circostanze ed alcune erano state
ammazzate per errore o per gratuita brutalità. Al centro del ciclone
e, per giunta, anche retribuiti con stipendi da fame (una delle cause
principali della corruzione dilagante), pure i poliziotti
scioperarono! Andava veramente tutto a catafascio.
Un’ultima considerazione a tal proposito è che, oggidì, la povera
Giamaica è, nel mondo, seconda solo alla Colombia per morti ammazzati
in scontri a fuoco tra “gunmen". Ad oggi sono più di 40, per lo più
intorno a Kingston ed il 2002 non è ancora finito!
La parola “rude boy" e le tematiche legate ai giovani che si scontrano
nel ghetto tra loro o con la polizia, rimangono ancora oggi piuttosto
in voga anche in Giamaica, cambiano i ritmi ma certi temi restano gli
stessi. E, infatti e se non ho avuto allucinazioni, negli anni ’90 m’è
parso di vedere, sugli scaffali reggae che frequento (e/o
frequentavo), dischi di ragga digitale con titoli o nomi di artisti
tipo Ruud Buoy Staylee, o simili. Avendo solo sporadicamente ascoltato
quella musica approfitto di questo spazio per chiedere aiuto a chi
avesse informazioni a riguardo, gliene sarei grato.
Si parlerà nuovamente di rude boys, intendendo prettamente un vero e
proprio fenomeno di costume sviluppatosi al seguito dell’etichetta Two
Tone (ovvero Jerry Dammers).
Tra il 1979 ed il 1981 erano rudi gli Skinheads che si riconoscevano
negli "sporchi e cattivi", oltre che sentirsene i diretti discendenti
per aver avuto il reggae nel DNA almeno fino dal 1968; lo erano, o
erano considerati tali dai media, molti "ska", gente che non era nè
mod, nè skin, ma amava semplicemente la musica propinata da
Specials,
Madness,
Beat e compagnia skancheggiante assumendone l’affascinante look fatto
di occhiali da sole e vestiti da beat.
Ovviamente, rudi, lo erano e lo sono i mods (che erano stati
affascinati dallo ska prima che gli skin lo fossero dal reggae) e che,
però, nell'attività del "rude" facevano rientrare anche l'uso
sconsiderato di anfe. Ma le differenze tra le "specie" erano, alle
volte, decisamente tenui, soprattutto per i media che tesero,
all’epoca, a fare un calderone di tutto.
Per lo più, però, con “rude boys" verranno identificati gli
appartenenti al movimento dei nuovi seguaci dello ska: “Con gli
Specials e i
Selecter, i
Madness sono gli artefici del fatto musicale più nuovo e
importante avvenuto in Inghilterra dai tempi del punk-rock: il
movimento dei cosiddetti “rude boys", ovvero i “duri". Che di vero e
proprio movimento si tratti, non c’è alcun dubbio: esso investe
fattori di ordine razziale, sociale, musicale. Sotto il profilo
razziale, nasce all’insegna del Bianco e Nero. Bianchi e neri sono i
componenti dei gruppi (ad eccezione dei soli
Madness),
bianco e nero il clore dei loro caratteristici abbigliamenti,
eccetera. Sotto il profilo sociale, tutti i membri dei gruppi (oggi si
sono uniti con successo i Beat, i Bodysnatchers – sembra che l’autore
del pezzo non sapesse si trattasse di una band tutta femminile! ndr –
i Dexy’s Midnight Runners) appartengono al sottoproletariato
londinese: i bianchi sono per lo più ex punks o ex skinheads, i neri
sono immigrati giamaicani (di qui l’appellativo di duri, di “rude
boys" appunto)". Così sintetizzava, nel 1981, il giornalista Manuel
Insolera in un articolo tratto dalla rivista “High Fidelity Musica" e
riproposto sul retro dell’EP dei Madness “The Nutty Boys" (Stiff/RCA
Italia).
L’autore dell’articolo citato, oltre a non sapere che le Bodysnatchers
erano un gruppo tutto femminile, non sapeva certamente della
tradizione giamaicana del rude boy ma, nonostante ciò, quello che
scrive è senz’altro corretto e “rende l’idea" dell’ambiente anni ’80,
dominato da bande giovanili tutte più che distinguibili da precisi
look identificativi.
Le creste doppie, triple dei punk coi chiodi nelle orecchie e le
spille da balia nelle narici; gli stivali di pelle nera da rancheros
dei rockers; il “chiodo" pieno di borchie e spille del metallaro; la
spettralità dei dark che parevano veramente stare tra la vita e la
morte con le loro facce bianche ed il rossetto nero; le teste rasate
degli skin heads in bomber, bretelle basette e marten’s ciliegia; i
mods, coi loro parka e le clarks come usarono poi fare anche i
“cinesi", quelli dei gruppi giovanili dell’estrema sinistra, che
aggiunsero kefiah e pantalone sdrucito; i nemici giurati di questi
ultimi, gli abbronzatissimi paninari e, prima di loro, i “fasci"
sanbabilini in Ray Ban a goccia, bomber e stivaletti neri i quali
ultimi erano soliti vedersela a tu per tu con i simpatici picchiatori
del disciolto partito Autonomia Operaia (ovvero i “nonni" degli
odierni punkabbestia); rockabilly in banana e basettoni impomatati.
Insomma, tutta questa fauna, compresa quella, abbondante, esclusa
dall’elenco per questioni di spazio, si riconosceva all’istante in
mezzo alla strada e se spesso si incrociava senza degnarsi
reciprocamente di uno sguardo, non di rado ragionava abbastanza
rudemente.
Oggi, sparite “le bande" ci si sente “rudi" per via della passione per
la musica ska e derivati, con minor interesse per quel look
affascinante fatto di giacche a tre bottoni, cravattine nere,
Martens’, crombies, bretelle, pork pies che, senz’altro, di quelli
elencati, era uno dei migliori.
Dati questi brevi cenni “storici" posso passare alla seconda parte di
questo breve articolo e ai capisaldi - se ce ne sono - della filosofia
e/o stile di vita del vero rude.
La filosofia
Una filosofia del
rude non credo che sia mai esistita e se è esistita non era dissimile
a quella (che certo non può dirsi "filosofia") delle violentissime
bande giovanili americane e di quelle analoghe giamaicane che oggi
trafficano allegramente in stupefacenti ed armi e causano gli alti
numeri di vittime di cui ho detto.
Per molti Skinheads, invece, essere rudi significa semplicemente
essere se stessi ovvero, più in particolare, superata l'età degli
studi: il lavoro, la birra, la musica Oi! da pogare, la musica Ska (e
qui non si scampa alla vera distinzione tra uno che è rude e uno che
non lo è) rigorosamente da skancheggiare, il tifo allo stadio alla
domenica, la propria donna che non necessita essere skin; no
politics e gli Amici con la "A" maiuscola. A ben guardare si
potrebbe dire che essere rude boy per certi skin è una sana normalità
anche se, dati certi temperamenti, ogni tanto ci scappa una rissa.
Io, personalmente, credo che la figura del rude boy in senso stretto,
ovvero quella giamaicana, abbia affascinato, più di quello che a conti
fatti meritasse, gli europei che via via sono entrati in contatto con
l'affascinante (appunto) mondo dello ska e del reggae e, di lì, con la
tradizione folkloristica giamaicana.
I gruppi inglesi, in particolare gli
Specials,
hanno contribuito a rivivificare il "mito" facendo le cover di canzoni
come “Rudy, a Message To You", “Too Hot" o “Rude Boy Out Of jail" che
andavano a braccetto con loro originali di analogo ambito tipo
“Concrete Jungle" ed eccitando, così, la fantasia di tanta gente che
ha cominciato ad identificarsi nel rude boy, vestito bene, aggressivo
quanto basta e, soprattutto, innamorato di un ritmo senza eguali.
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