|

Joe Gibbs - "Joe Gib Mood the
amalgamated label 1968 to 1971"! - Trojan
UK 1998
L’ "Uomo venuto col Rocksteady", si
potrebbe definire Mr. Joel Gibson, conosciuto meglio come Joe Gibbs.
Già, perché questo signore si dà alla produzione musicale nell’anno
di grazia 1966. E non scherza per niente: soldi ne ha abbastanza per
mettere su uno studio ed in quattroequattrotto eccoti lì la hit ovvero
"Hold Them" di Roy Shirley. Sì, subito una hit e pure
"storica", per giunta, essendo indicata da più parti come
primo pezzo Rocksteady.
Bè, detto questo, non resta che immaginare che cosa è stato in grado
di produrre il grande Joe nel periodo di tempo riportato nel sottotitolo
di questa ottima raccolta di Gibbs’ mood.
Tenendo presente che nel ’69 Gibbs compra un nuovo impianto di
registrazione a due tracce qui, di tracce, ce ne sono 26, di cui alcune
familiari e molte, invece, rarità per i palati fini.
Splendide evoluzioni musicali da gustare sono, innanzitutto, gli
strumentali presenti in quest’album. A cominciare da "Jumping
Jack" del sassofonista Carl "Cannnball" Bryan ,
continuando con la divertente "Decimal Currency dei non meglio
identificati The Blenders di cui, forse, riconosco il chitarrista Alva
Lewis per il solo in stile; ed ancora la interessantissima "The
Hippy Boys Are Here" degli Hippy boys, appunto, prima formazione
con tanto di sezione fiati di quel gruppo che diverrà mondialmente
famoso come Upsetters; o la bellissima "One Love" dei The
Cobbs misteriosi e "Skataliteggianti" – se mi permettete il
neologismo – come pochi e sotto il cui nome si celano oltre che
elementi degli Hippy Boys, gente di Tommy Mc Cook & the Supersonics
e di Lynn Tait the Jets, seguiti, a ruota, da un reggone lento e
sonnolento dal titolo che attizza nostalgia e rilassatezza sognante
tipica da caraibi, dal titolo "Reflection of Don D", autore
accreditato: Johnny Moore, eterno amico del Don.
a cura di Sergio
Rallo

Giorno di Paga – Split CD –
KOB Records /
Mad Butcher Records – 2001
I
nostrani
Giorno di Paga gentilmente mi fanno avere la loro metà dello split
CD condiviso coi tedeschi
Ex-Maquina. Lavoro valido di una band piuttosto attiva (caruccio
anche il loro
sito), con già un altro cd all’attivo e con ampi margini di
miglioramento.
Si tratta di 6 brani ska-core, ben registrati e dalle sonorità ben più
core che ska. L’originalità non manca, l’ascolto è piacevole e un paio
di brani spiaccano per le loro doti danzerecce. Ciò di cui sento la
mancanza è una sezione fiati più incisiva. Fermo restando che il sax di
Antonio è dotato di una certa personalità, bisogna dire che un trombone
darebbe più incisività alla loro musica, soprattutto nei pezzi più ska,
come in “La sonda".
Notevole comunque l’aggressività della chiatarrona distorta e puntuale
nel levare. Un pò sotto tono la voce, spesso lasciata nelle retrovie
rispetto agli altri strumenti.
“Saturnia" è uno ska-core piacevolissimo con un intro vagamente country
e con diversi stacchi, accelerazioni e cori.
Clochard è un pezzo 100% hardcore nel quale si intuisce che chi l’ha
composto è un fan dei
NOFX. Anche “Zona" ha sonorità più tendenti al punk, mentre “Prima
persona" inizia come un piacevole ska ballabile e si trasforma in un
punk sparato col passare dei secondi.
Il cd si conclude con “Fuochi d’artificio", finalmente con una netta
prevalenza di ska. Molto in stile
Persiana Jones.
I testi sono molto punk, imperniati
sulla “vita di tutti i giorni" e tendenti al pessimismo cosmico.
Antonio Crovetti

Godzilla
"Four Shots Alive" Autoprodotto 1997 Cassetta
I Godzilla sono una formazione svizzera piuttosto recente di
Zurigo, che si dedica prevalentemente a suonare live. E quella che stiamo ascoltando è
appunto una registrazione live di quattro pezzi, di cui una cover di "Go Away"
di Jackie Opel.
Diciamo subito che la registrazione non è delle migliori, daltronde si tratta non
di una registrazione ufficiale, ma piuttosto di un demo-tape promozionale. Molto attaccati
allo Ska tradizionale, il loro suono risulta sporco come certe registrazione giamaicane,
vuoi per la sudetta approssimazione della registrazione, vuoi per luso del
contrabbasso che tende a rendere i suoni molto più caldi e pastosi. Non ci fa impazzire
la cantante, questo lo dobbiamo dire, ma chi sa ascoltare "tra le righe" una
registarzione live del genere ne coglie la fiammeggiante energia.
Siamo in attesa di vederli live al più presto a Milano.
a cura di Sergio Rallo

Godzilla - "Get
Away From Montego Bay!" - Leech Records 1998
Proprio carino questo 45 giri, con su 3 brani, di cui
uno solo cantato. La band di Zurigo ha le sue caratteristiche sonore nei due sax e nel
contrabbasso, alla voce una donna. Atmosfera decisamente "Two Tone" ma se non
credete in certe definizioni è meglio. Gli strumentali ("The Way To Luana
Point" e "Yes I'm Rocking") mi piacciono parecchio per l'uso della tastiera
sostituita in "MIO" dal piano. Già il loro demo era promettente, ascoltato il
45 è certo che mi comprerò il primo LP che i Godzilla registreranno, speriamo presto!
a cura di Sergio
Rallo

Harddiskaunt – "Skaterpillar" – Autoprodotto 2000
Il
manifesto di questi sei giovanotti provenienti dalle sponde del lago
di Como tra due seni non interrotti…ops forse ho sbagliato qualcosa,
il lago è quello Maggiore e Dante Alighieri non centra niente (Salvo
del Grande Fratello docet). Torniamo a parlare del manifesto di questa
band formata intorno al 1996 da sei elementi provenienti dalla provincia di Varese nel tratto compreso tra
Luino e, appunto, Varese chiamato Spondamagra, manifesto che è
riassunto nella prima canzone di questo cd, il pezzo
della durata di ben cinque minuti e sedici secondi che prende
il nome di “Spondamagra Rudeboy"
ci fa capire lo stile di vita e di ska che contraddistingue
questa band. Il modello di vita è quello del Rude Boy giamaicano
precursore degli attuali Skin (birra, f..a, divertimento e buona
musica), mentre la musica visti gli ideali sopra descritti non può
che essere di ottimo livello, infatti si parte da uno Ska molto vicino
a quello degli esordi giamaicani con vari cambiamenti di ritmo che in
certi momenti rasentano lo Ska-Core per finire in raggamuffin con una
venatura Oi nei coretti. Il
secondo brano è “Skaterpillar" da cui il nome del cd e del
programma radiofonico condotto settimanalmente dal bassista e dal
cantante su Radio Lupo Solitario, ottima intro per i concerti dal vivo
(premetto che non li ho mai visti on stage e quindi è solo una mia
supposizione) che vagamente influenzato da James Bond (the killer)
mette sull’avviso il pubblico sull’alto livello qualitativo di
questa band.
Testo
alla “Io e Lui" di Moravia (se ben ricordo) nella terza canzone
“Costretti a eiaculare (è il mio corpo che cambia)" in cui il
soggetto conversa amabilmente con il membro (non della band). Canzone
ispirata da Giovanni Lindo Ferretti inventore e leader di CCCP prima e
dei CSI poi, non so se sia un complimento ma a me non lo sembra.
Rallentiamo
il ritmo e sfociamo nel Reggae-Dub di “Amsterdam Train" che
ritroviamo anche alla fine del disco in versione drum & bass
remix.
Ottima
musica negli strumentali “Green eyes ska" o “Indian ska" e
testi che vanno dal sociale di “Su la testa" al semi-demenziale di
“Lo squalo" completano questo cd a parer mio veramente ben fatto.
Cosa aspettate a procurarvelo?
a
cura di Massimo
Boraso

Harddiskaunt - "Ed è subito
party" - CD Supple Productions, Italia 2003
L’intenzione degli Harddiskaunt è quella
di proporre un disco per l’estate che, anche nel titolo, richiama la
festa e che festa sarà mai se non una festa ska?
Quello che suonano gli HD è, infatti,
prevalentemente un’accattivante miscela di ska/rock (“La Soluzione" e
“Fiesta") senza, però, disdegnare certo reggae classico come “Night
Clippin’" (il cui cantato sembra riconducibile ai Fishbone) che ho
apprezzato sinceramente, quanto l’intrusione “salsera" della citata
“Fiesta".
Vari e variegati sono, infatti, gli
Harddiskaunt che propongono in “Ed è subito party" cover ska del famoso
strumentale surf “Miserlou" ed una del tutto inaspettata di “Do You
Really Want to Hurt me?" degli scomparsi Culture club di Boy George,
alle quali alternano piacevoli ska swing alla maniera di Paolo Belli
come “Scooter Boy" e rocksteady da spiaggia come “Ganja Song".
Ska rock veloce e potente con intrusioni
ska/core caratterizzano “L’attimo" mentre l’unico strumentale di Ed è
subito party, ovvero “B.B.Ska" rende senz’altro lustro alla formazione
che conclude questo affatto noioso album con le dub versions di “Night
Clippin’" e di “Ganja Songs".
E allora facciamoci ‘sto party!
Sergio
Rallo

Hepcat - "Right On Time" - Hellcat/Epitaph Records
1997
Terzo brillante album dei leader americani dello Ska
tradizionale. Come detto altrove hanno creato una vera e propria moda laggiù in
California. E ascoltando i 13 brani capirete anche voi come mai il gruppo di Alex Desert e
Greg Lee ha colpito così profondamento l'immaginazione di molti giovani che oggi suonano
la loro stessa musica. Per quello che riguarda i brani del dischi, la traccia numero 4
"The Secrets"è la versione 1997 dell'omonimo brano del loro CD di debutto
intitolato "Out Of Nowhere" etichetta Moon Records, stavolta in versione
Rocksteady. L'apprezzatissima cover "Rudies All Around" di Joe White e la
versione 1997 della lamentosa "Nigel"che è stato il loro 45 giri di debutto nel
1990 sono assolutamente da ascoltare nei loro nuovi "grooves".
In concerto sono splendidi, propongono ottima musica avendo un ottimo gusto.
Nel disco anche la gradita sorpresa di un "ghost track" che è
anch'esso la versione 1997 di un loro vecchio brano, che non vi diciamo qual'è perchè
siate costretti a cercarvelo come abbiamo dovuto fare noi :-)
a cura di Sergio Rallo
 
Hepcat
- "Push ‘n Shove" - Hellcat
Records, NL, 2000
Della (pare) traumatica uscita di Raul
Talavera – sax alto della band fin dagli esordi – resta traccia
nei saluti/ringraziamenti del ricercato, elegante, soave 4° lp
degli Hepcat dal titolo Push ‘n Shove.
Dei pettegolezzi circa il possibile loro scioglimento Io, Me, De
Profet, me ne frego come continuerò a fregarmene dei pettegolezzi
in futuro, preferendogli di gran lunga i fatti: l’eccellente
musica che gli Hepcat hanno registrato per il suddetto CD.
Subito dall’inizio, con l’omonima "Push ‘n Shove",
il disco concede molto più spazio a ritmiche Rocksteady original ,
con splendidi arrangiamenti degni delle migliori band giamaicane dei
tempi che furono ( Comets e Carib-beats in testa), sia per la
sezione fiati che per le ritmiche che, nella successiva cover
"Tek Dat", si trasformano in un sinuoso ed incalzante
Reggae.
Dopo 27 secondi di un piccolo " ‘Lude 1" di ambito Dub,
un altro splendido reggae con melodica di contorno ed effetti dub si
appalesa come il primo brano degli Hepcat cantato da una donna,
Karina Denike, lead vocal in "Prison Of Love". Segue un
brillante strumentale da "imbrunire davanti ad un
margarita" nel quale splende la tromba di Kincaid Smith e non
si rimpiange la batteria di Narvas rimpiazzato da un efficace Scott
Abeles.
Ma il meglio deve ancora arrivare e lo si capisce quando si ascolta
"Comin’ On Strong", un Rocksteady "sostenuto",
azzeccato "dance crasher" con assolo i tastiera e melodie
vocali perfette, fuori dal tempo nel loro rilassante andamento.
La successiva "You And I" è una canzone d’amore su base
Reggae, punteggiata dalla tastiera e con un assolo di chitarra degno
di Ranglin.
La soavità di "You And I", viene subito sostituita dal
migliore brano che ho trovato su "Push And Shove" che,
guarda caso, si intitola "Beautiful", non è ska, non è
rocksteady, né reggae, ma è splendido in assoluto; il groove è
tosto, il jazz scorre, le voci incantano, il pianoforte balla e la
sezione fiati è insistente. Bravi Hepcat, che bella canzone!
Altro Rocksteady divertente è il successivo "The Region"
che per le ritmiche ricorda tanto la citata band di Lyn Taitt, i
Comets/Jets, mentre la successiva cover "Gimme Little
Sign", sembra, sempre per le ritmiche, uscita da una session
dei Soul Vendors…altro " ‘Lude" (n.2), sempre dub, per
passare allo ska strumentale "The Spins" ulitmo pezzo
prima del reggae "Live On", che chiude l’impeccabile
lavoro della migliore formazione di musica giamaicana tradizionale
degli anni ’90.
Consigliato a tutti i Rude Cats là fuori.
a cura di Sergio
Rallo


Justin Hinds & the Dominoes - Peace & Love -
Trojan 1998 UK
Volendo recensire questa preziosa raccolta con
ben 22 tracce, per lo più rare, di Justin Hinds & the Dominoes,
la tentazione di scrivere un intero articolo sul gruppo vocale più
"roots" dell’epoca Ska, è fortissima.
E infatti, da dire, ce ne sarebbe parecchio, a cominciare dalla banale
costatazione che canzoni come "the Higher the Monkey Climbs"
o "Carry Go Bring Home" sono tra le "immortali"
della musica giamaicana di sempre; "coverati" innumerevoli
volte, capi scuola della tradizione canora rurale, Hinds, Dennis
Sinclair e Junior Dixon, mettono in musica proverbi isolani cantando
interessantissime armonie vocali tanto caratteristiche che nessuno ha
mai potuto imitarle.
Al solito, agli strumenti, la sempre entusiasmante Baba Brooks Band,
che ci regala alcuni tra i più coinvolgenti ritmi su cui abbia
cantato il trio vocale.
Il materiale contenuto in "Peace & Love" va a completare
quello del precedente "Ska Uprising"- sempre etichetta
Trojan, 1993 - ed è costituito da canzoni che nulla hanno da
invidiare alle più famose di questo gruppo; la versione Ska della di
per sé splendida "Botheration" merita già da sola il
possesso di questa raccolta; "Early One Morning" è uno
degli esempi meglio riusciti di incontro tra le propulsive ritmiche
dello Ska e del calypso, il risultato è il coinvolgimento in uno dei
più sfrenati balli che si possa immaginare, grazie soprattutto alla
linea di contrabasso di Brevett ed alla batteria di Drumbago:
"good vibrations" alla grande!
Le voci di Dennis e Junior fanno da contrappunto a quella
"rustica" di Justin, uno dei primi cantanti
"conscious" della Giamaica e - è da dire -
proprietario di un pathos mistico, "King Samuel" e
"River Jordan" non è un caso che si intitolino così; da
frenetici Ska come "Come Bail Me" a Rocksteady carichi di
energia come "My Mother Told Me" e "No Good Rudie"
a original Reggae di piacevolissimo ascolto come "Say Me
Say"e "If It Is Love You Need", questa compilation dona
nuovo, meritato lustro a Justin Hinds e i suoi Dominoes.
Che musica!
a cura di Sergio
Rallo

Justin Hinds - "Prophecy Live" - CD (live) Passage
Production/Melodie Distr. Francia 2003
Quasi
contemporaneamente al disco dal vivo dei Jamaica All Stars, Justin Hinds
– uno dei più bravi interpreti della musica giamaicana di tutti i tempi
che può dire di aver vantato tra i suoi fan lo stesso
Marley – con
questa registrazione dal vivo tratta dal tour americano del 2003 segna
il proprio ritorno discografico.In 11 canzoni - tratte da un personale
repertorio che vanta composizioni che sono già parte integrante del
folklore giamaicano e che hanno fama, senza alcuna esagerazione,
mondiale - il mitico leader dei the Dominoes ci educa ai precetti
dell’onnipotente Jah ("Save A Bread", "Prophecy" e "Mighty Redeemer") ci
fa divertire ironicamente ("Rub Up Push Up"), ci instilla un po’ di
saggezza popolare caraibica ("The Higher The Monkey Climbs", "Carry Go
Bring Come") ma, soprattutto, ci fa capire perfettamente come mai sia
stato lui con i suoi Dominoes la punta di diamante della Treasure Island
di Duke Reid del periodo ska, rocksteady e reggae. Insomma, un vero
Maestro.
E da quegli anni, musicalmente, non sembra essere passato tutto il tempo
che è, invece, effettivamente trascorso, vuoi per l’indiscussa forza ed
autentica potenza delle composizioni di Hinds in sé, vuoi per l’immutata
energia del grande crooner, il cui stile tra gospel e puro folklore
caraibico è veramente unico ed istantaneamente riconoscibile, vuoi,
infine ma non ultimo, per il fatto che è accompagnato dal bravissimo
Jerome (suo figlio) alla batteria e da due icone della musica giamaicana
come Vin "Don Drummond Jr" Gordon (trombone) e Headly Deadly Bennett al
sax tenore.
Tra i momenti migliori di "Prophecy Live" indico la terna ska di "Rub Up
Push Up", "Over The River" e "The Higher The Monkey Climbs" (anche se
proprio in quest’ultima, il bassista Bernard Fagan pare essersi
dimenticato il fenomenale giro della traccia originale che invece viene
riprodotto pari pari dai Jamaican All Stars).
Ma i miei brani brani preferiti sono senz’altro "Here I Come", "On The
Last Day", "Carry Go Bring Come" e "Save A Bread" che non stento a
definire come musica meravigliosa.
Godibili anche i 3 minuti e 40 di intervista che fanno parte dei
45 e 48 di durata di un album che ogni fan di Justin Hinds e dello
ska/reggae è tenuto a possedere, ad ascoltare e ballare fino all’ultima
stilla di sudore e come dice Justin: "Peace love and Unity, in the name
of His Majesty Jah, Rastafari!".
Sergio
Rallo

La
prima volta che ho sentito David Hilliard (sic)
suonare un sax tenore fu ascoltando l’album “Bali Island" dei
Donkey Show, una formidabile formazione Ska californiana prematuramente
sparita e la cui “parabola" nel firmamento dello Ska è simile allo
sfrecciare di una luminosa cometa: 6 brillanti punky Ska/Reggae
sottotitolati “Rude Original Ska & Reggae". Era il 1989.
Pochi
anni dopo, svanita la Unicorn, i Donkey Show erano un (bel) ricordo di
alcune estati prima e tanta altra gente cominciava a riascoltare lo Ska
tradizionale e tutte le sue elettrizzanti trasformazioni ed evoluzioni
in slow ska, talkin’ska, burru ska, rocksteady, soul roksteady, early
reggae, skinhead reggae, soul reggae, funky reggae, DJ reggae, dub e via
discorrendo e mi capita così di riascoltare David Hillyard (con la Y
ora al posto giusto) su un album che segna la storia ufficiale della
musica Ska per due ragioni che vado subito, in maniera prolissa, a
spiegare.
La
prima è che “Out Of Nowhere"
degli Hepcat segna senza dubbio il trionfo della musica Ska tradizionale
(Ska/Jazz, Ska/Swing, Ska R&B, Rocksteady, Original Reggae) su tutti
i generi da essa derivati e ad essa successivi (Ska Two Tone, Ska Punk,
Ska Core, Reggae, Ragga etc) nel senso che, finalmente, le viene
accreditato mondialmente l’essere la giovanissima nonna di tutto ciò
che venne dopo, che è, anche, il trionfo (ok, ok, “underground" ma
sempre trionfo fu!) di un disco di eccellente musica, ritmicamente
variegatissima e melodicamente colta. Musica calda e piacevolmente
avvolgente, istintivamente predisposta per coinvolgenti balli. Ad ognuno
il suo.
La
seconda ragione è che quel disco segna definitivamente il dilagare
dello Ska tradizionale in tutta la California, anzi, diventa vera moda
che, grazie anche a quell’album del 1993, gli Hepcat riusciranno a
cavalcare meritatamente fino alla fine del decennio con altri tre album
in cui, però, non comparirà più Hillyard pur avendo dato al primo un
contributo non secondario firmando la splendida “Skavez" e la
piacevolissima “Same O’ Same".
Non
passa gran tempo prima che il mio orecchio ascoltasse nuovamente il sax
di David Hillyard, infatti, nel 1995 registra “Open Season" album di
debutto degli Stubborn All-Stars (una super band composta da membri
degli Skatalites, dei Toasters, degli Skinnerbox NYC (ex Boilers), The
Insteps e degli Slackers). E, con gli ultimi citati, lo riascolto sul
loro album di debutto “Better Late Than Never" del 1996 nonché in
tutti e quattro gli album che gli Slackers hanno felicemente registrato
fino ad ora.
Dopo
un tale curriculum vitae a Mr.
Hillyard, quale esponente di riguardo del moderno Ska tradizionale,
mancava un album da solista e la lacuna viene colmata nel 1997, anno di
registrazione di “Playtime", un disco nato concentrando attorno a sé
il meglio dei musicisti Ska/Jazz di New York.
“Playtime"
è elegante, colto e raffinato dove “raffinato" non fa riferimento
ad elaborazioni di alcun genere della musica che è, invece, volutamente
registrata in presa diretta nel rispetto delle tradizioni giamaicane e
jazzistiche. “Playtime" è, poi, “colto" perché chiunque sia
appassionato dei fantastici ritmi nati in Giamaica, vi troverà uno
splendido reggae (cantato dagli Hepcat!) dal titolo “Hangry Lady";
un riuscito mix tra Rocksteady e Jazz Dixiland
come “Sidney’s March" e “Sidney Ghost" che è uno
strumentale in due parti; troverà, poi, una melodia Ska primi anni
’60 (sempre cantata dalla coppia Greg Lee e Alex Desert) in “The
Fool"; una versione di “Norwegian Wood" strumentale in stile
Rocksteady abbondante in percussioni; Latin Ska Jazz nella nuova
versione dello strumentale scritto da Hillyard per il citato disco degli
Hepcat “Skavezz" che resta uno dei migliori brani da lui scritti;
Ska con batteria Burru di altissimo livello e di diretta ispirazione
Skatalites ascoltando la bellissima “Father And Son" che, ad
insindacabile giudizio di chi scrive, fa un’ottima accoppiata con lo
strumentale Rocksteady che dà il titolo al CD ed il cui bridge mi
ricorda qualcosa degli Articles; infine, l’appassionato troverà in
“Playtime" due strumentali Ska, senza altra sottodistinzione se non
quella di essere 2 Ska cattivi, infuocati dal Jazz, intitolati
“Hillyard Street" e “Ugly Man Blues" che sono anche i 2 pezzi
che possono competere con Skavezz nella mia personale graduatoria dei
migliori brani scritti da Hillyard.
Gli
uomini usati da David hillyard per le 2 differenti sessioni di
registrazione che hanno portato a Playtime provengono da conosciute
formazioni dell’ambiente Ska di New York come Slackers,
Mephiskaphekles e Skinnerbox o da gruppi Jazz (molto meno conosciuti
nell’ambiente Ska)come Other Dimensions of Music e la Mingus Big Band
oltre ad ospiti graditissimi come il veterano percussionista Larry
McDonald ed il virtuoso del trombone, già collaboratore degli
Skatalites, Will Clark a rendere ancor più pregiato un disco di ottima
musica.
Certo
David Hillyard, che piaccia o meno il suo fraseggio, è uno dei
musicisti di cui il genere Ska può andare fiero e che, per sua stessa
ammissione, allo Ska vuole dare ancora molto.
Viva
gli uomini di buona volontà!
Sergio Rallo

The Hotknives
- Screams, Dreams
and Custard Creams - Grover
Records - 2000
Alla
buon ora!!! Erano quasi quattro anni che stavo aspettando un seguito
al loro ultimo lavoro "Home". Per chi già li conosce,
questo è un disco da prendere a scatola chiusa; senza “se" e “ma",
“senza forse" e “non saprei". Lo stile è il loro. Puro
Ska-Pop all’inglese. A tratti divertente, a tratti Two-Tone, a
tratti malinconico. Come è tipico degli Hotknives, poca importanza ai
fiati. Si gioca molto su tastiere, chitarra e voce. Soprattutto su
quest’ultima vale la pena di spendere due parole. La voce di Mick
Clare penso sia un buon 70% della musica della band di Brighton. Molto
inglese, di quelle che ti vien voglia di metter su l’acqua per il
tè. Arrabbiata, dolce, melodiosa e calda allo stesso tempo. Per l’impronta
inconfondibile che da anni hanno dato alla loro musica, credo che gli
Hotknives si siano ritagliati una fetta di pubblico molto elitaria,
quasi limitata. Gli Hotknives non possono piacere “abbastanza";
non possono “non convincere del tutto". O piacciono, altrimenti li
si lascia proprio perdere. Io appartengo ai primi. Come detto, sound
tipicamente inglese, con testi tipicamente inglesi, a volte ironici, a
volte più impegnati sullo stile working-class, a volte
malinconicamente sentimentali. Della musica già ne ho parlato un
pochino però a me piace un sacco. Il disco inizia tipo Intercity
Milano-Roma delle 7.05, binario 14 e non si da una calmata fino alla
traccia numero 7 (“Happy Holiday"). In precedenza il sudore era
iniziato a scendere a fiumi con pezzi come “Summer Never Comes Too
Soon" dal retrogusto al sapore di Madness, “In The Papers Today",
“Same All Over The World". Poi è un susseguirsi di ritmi più o
meno veloci; brani con repentine variazioni di tempo. Tutti con un
denominatore comune: melodie davvero grandi sostenute da una grande
voce e da ottimi musicisti. Ancora grandi pezzi come “Broken Heart",
“Smokin’ on Sundays", “W.L.N.", “Last Song On The Jukebox".
Non è che posso elencare tutte le canzoni del disco, vi pare? Un
disco divertente, succoso, fresco, diverso. Da provare. Lo adoro.
Adesso gradirei che la Grover mi spedisse qualche disco davvero
scadente, altrimenti passo per un corrotto. Non è che producono anche
dischi metal?
a cura di Antonio
Crovetti
The Inspirations -
"Reggae Fever" - Trojan
Uk 1998
Datato 1970, l’originale
"Reggae Fever", quello in caro vecchio vinile, non fu un
"evento" discografico per il mondo del reggae, ma negli anni,
il suo essere introvabile l’ha reso leggendario.
Rieccolo, in formato CD, nel set originale di 12 pezzi (8 cantate dagli
Inspirations, 3 godibilissimi strumentali dai Destroyers ed 1,
"Only Yesterday", cantato e scritto da Ken Parker) con
l’aggiunta (regali che spesso la Trojan elargisce) di ben 14 (!)
bonus, a rendere ancora più appetibile questa riedizione.
Il brano che dà il titolo al disco, guarda caso, non è degli
Inspirations, come farebbe presupporre, bensì del sig. Lloyd
"Gits" Oliver Willis, chitarrista dei Destroyers, la studio
band di Joe Gibbs per la cui etichetta furono registrati questi 26 brani
tra il 1969 ed il ’70.
Gli Inspirations propongono covers di alcuni dei brani più famosi delle
classifiche giamaicane come la splendida "Ease Up" dei
Bleechers, "Wet Dream" di Romeo, "Samfie Man" dei
Pioneers, "Sweet Sensation" dei Melodians e, oltre a
"Fattie fattie" di Clancy Eccles, qualche altra meno famosa ma
altrettanto grandiosa come "Take Back Your Duck". Poco
differenti dagli originali, hanno però un ugual fascino.
Solo la traccia n.° 4 è una loro original: "Why Do We Laugh At My
Calamities". E non è la più bella del disco.
Chi si nasconde invece dietro il nome The Immortals, non lo sapremo mai
con certezza, forse non se lo ricordava neppure Joe Gibbs, ma ci
restano, tra pochi altri brani sparsi qua e là, i due presenti in
"Reggae Fever": "Perfect Born Ya" e "Red Red
Wine" a proposito della qual’ ultima anch’io, come il
compilatore delle note Trojan, vi avviso: non è la stessa canzone di
Neil Diamond. Entrambe sono ottimi esempi di reggae "prima
maniera".
Da non perdere gli appassionanti strumentali tra cui "Rock The
Clock", "Danger Zone", "Mad Rooster" e le due
"Franco Nero" e "F.N. Version 2".
L’interesse principale di questa raccolta è che sottolinea come il
Reggae, a quell’epoca, fosse divenuto ritmicamente molto variegato e,
per certe scelte musicali, sorprendente.
Skinhead reggae at all!
a cura di Sergio
Rallo

Intensified - "Yard Shaker" - Groover Records
1997
Come prima recensione di SkabadiP i
responsabili hanno deciso di scriverne una parlottando tra loro del disco che intanto
suona allo stereo.
Sergio: Alessandro, ti introduco questa ottima Ska band del Kent,
nella madrepatria del nuovo Ska, lInghilterra.
Intensified suonano dal 1989, hanno inciso due CD, un buon numero di demo-tapes, un paio
di 45 giri, e sono apparsi nelle più disparate compilations di mezza Europa.
Quello di cui parliamo è ovviamente lultimo, e subito voglio chiederti che cosa ne
pensi, visto che lo stai ascoltando per la prima volta? Che mi dici di questo Ska,
Rocksteady e Soulful Reggae ?
Alessandro: direi che sono grandi, se non dicessi sempre "grande" ogni volta che
ascolto del nuovo Ska. Mi rammentano certo gli Hepcat. Fra laltro, sono molto
rilassanti: "buon sound".
Sergio: A me piace parecchio la facilità con cui Steve Harrington e la sua band passano
da uno stile allaltro, cè tutto, in questo CD.
Alessandro: E questa, messicaneggiante, come si chiama?
Sergio: Questo bellissimo strumentale si chiama Bad Mans River, è la traccia numero
sette. Un andamento veramente rotolante. Fa muovere ritmicamente il basso ventre
Alessandro: qualche informazione tecnica ?
Sergio: Si, unottima cover del brano "Evening News" di K. Patrick, che era
uneccezionale cantante giamaicano, che gli Intensified interpretano in maniera
spumeggiante. La traccia quattordici è poi un bellissimo Rocksteady, tributo
alleccezionale Slim Smith.
Sergio: da non perdere?
Alessandro: dove lo compro?
P.S. Il loro primo CD, "Don't Slam The Door" - The
First Five Years, stessa etichetta, è altrettanto appagante

a cura di
Sergio Rallo e Alessandro Melazzini


Intensified
– "Faceman Sound" – Grover
1999 – Germania
Fanrldahh
incredlopdsflkm dfdlkjyro nmluoipf…..difficile scrivere mentre si
balla. Faccio leva sulla mia capacità di autocontrollo, sulla
dedizione alla buona musica e al sito. Faccio uno sforzo e sto calmo
una mezzoretta. Questo è un disco pazzesco. Roba che non si sentiva
da parecchio tempo. Ma procediamo con ordine. L’altro giorno mi
arrivano un tot di CD dalla Grover, etichetta tedeska che ha capito da
che parte gira il vento, tra cui il qui presente. Gli
Intensified….inglesi, in giro da parecchio, al terzo lavoro, un sano
rocksteady con parecchie venature reggae senza infamia e senza lode.
Così me li ricordavo. Così il disco rimane nel dimenticatoio per
qualche giorno e lo riesumo tanto per avere un sottofondo migliore
delle telecronache di Pizzul. Mi rendo subito conto che ho commesso un
errore imperdonabile a non ascoltarlo prima. La serata scorre e
innesco il pilota automatico sul lettore CD. Penso di aver ascoltato
il disco almeno sette volte quella sera. Trovare aggettivi è davvero
difficile. I superlativi non mi piacciono, anche se gli Intensified se
ne meriterebbero una carriolata intera. Cinquanta minuti di rocksteady
100% Giamaica Style. Non so se vi rendete conto di cosa significhi al
giorno d’oggi. Intendiamoci, qui c’è puro Ska di quello che piace
tanto a grandi e piccini, mica bruscolini. Già la copertina sembra
chiedere scusa al tempo che passa in un tentativo di tornare indietro
a qualche decennio fa in cui questa musica la faceva da padrona al
sole dei tropici. Adesso lo dico. Prendete gli Hepcat. Grandi gli
Hepcat giusto? Geniali gli Hepcat, vero? Beh, questi Intensified
ricordano i Californiani, ma col particolare che sono molto meglio.
I
fiati sono di quelli che fanno tremare i muri. Melodie originali,
mentre nel levare la puntualità è tutta inglese. Due sax, tromba e
trombone da pianto; Voce da brivido, di quelle calde appena sfornate;
sezione ritmica di quelle che ricorda le sonorità dei tempi che
furono e un hammond che mi farebbe riconciliare perfino con la mia ex.
Ottima la produzione e gli arrangiamenti. Trovare un brano preferito
è davvero arduo. Forse “Glamour Girls" merita una menzione
particolare, però anche “Rolando" uno strumentale alla
Skatalites….certo che non si può lasciar fuori la reggaeggiante
“Treasure Island". E che dire di “Maybe", e la swingheggiante
“She’s so fine". Allora mi rifiuto di escludere dall’elenco
“Bring it Back" e “Direction".
Insomma, a farla breve, un disco che non può non piacere. Per palati
raffinati e non, per gli amanti del rocksteady ma anche di qualcosa di
più velocino, per chi ama lo Ska nelle sue forme più belle. Da
avere. Accidenti, i piedi…le gambe…le braccia….si muove tutto
non riesco a fermarmi. Aiutatemi…..
a
cura di Antonio Crovetti


Intensified – "Cut ‘n’ shut" –
Grover Records 2001
Here comes another monster...E rieccoci, con
un pò di ritardo, col nuovo disco degli eccezionali e simpatici
Intensified.
E questa volta niente popò di meno che
con un doppio cd. Confezione extra lusso con 15 pezzi dal vivo e 9 in
studio nel più classico stile Intensified. Uno stile molto roots, molto
rocksteady, molto ska.
Aprendo la confezione si trova il live a sinistra e lo studio a destra.
Andiamo per ordine: come per ogni live che si rispetti, tra i 15 brani
c’è un po’ di tutto. Originali, inedite, covers.
Le inedite sono rappresentate da quattro covers, “Reggae hit the town"
degli Ethiopians, “John Jones" di Derrick Harriott, “Tell Me Baby" di
Delano Stewart e “Dick Tracy" degli
Skatalites, e da una original, la strumentale e coinvolgente
Piranha. I restanti 10 brani provengono dai loro precedenti cd, “Faceman
Sound" (4 brani), “Yard shaker" (5 pezzi) ed dal primo “Don’t Slam the
Door" (la splendida “Margherita").
Il sound è tipicamente da Intensified. Molto roots, senza overdubbing e
lascia immaginare cosa dev’essere un loro concerto: energia e passione
al 110%. L’affiatamento tra gli strumenti è ottimo e la voce di Paul
Carter è superba. Da avere. E’ inutile descrivere ogni pezzo,
l’arrangiamento, l’assolo, il brano preferito (certo che Jewel In My
Crown è da pelle d’oca). E’ un disco da avere e nulla più. L’ascolto è
consigliabile in cuffia.
Col secondo cd, quello in studio, gli Intensified si sono divertiti a
riarrangiare vecchi brani del loro repertorio, e a suonare nuove covers.
Non si tratta di un semplice cd di B-sides. Niente affatto.
Si inizia con “Turn Me Loose", un vecchio (e raro) stomper di Derrick
Morgan. Una versione da urlo. Impossibile non muoversi al ritmo. Il
duetto vocale del brano, del tutto irresistibile, introduce il pubblico
ad un nuovo membro della band: si tratta di Cathy, splendida voce
femminile presente anche in “Things of the past" di Phillis Dillon.
Si prosegue con l’apoteosi delle originali tastiere di Andy Pearson in
“Speak your mind" e “Biafra", mentre “Wiseman" e “Duppy Mansion"
riportano alla mente le sonorità di Faceman Sound, con una ritmica unica
e ballerina. La splendida Hot Lead Shuffle, anch’essa in Faceman Sound,
è in versione riveduta e corretta dal punto di vista “sezione fiati"
(sul disco era in versione Hammond), segno che, come dicevo, non è un
semplice disco di B-sides, o scarti.
Per quanto mi riguarda, è ossigeno puro.
Antonio Crovetti

|