Devo ammettere che le mie
conoscenze circa le origini dei NYSJE non vanno oltre quanto scritto
sulle note di copertina del primo disco. Si legge che tu (Freddie
Reiter) e Rick Faulkner eravate accomunati dal desiderio di
reinterpretare lo Ska nel contesto del Jazz americano e che per farlo,
vi siete messi a fare un elenco degli artisti coi quali vi sarebbe
piaciuto lavorare. A quanto pare, tutti i personaggi inclusi nella
lista hanno accettato. C’è qualcosa d’altro che si deve sapere o
qualcosa da aggiungere?
In effetti,
le cose sono veramente andate in questo modo. Forse aggiungerei che
eravamo alla ricerca di un pubblico. In sostanza volevamo portare la
nostra musica fuori da noi stessi. Ho sempre suonato musica
strumentale, e dopo aver visto gli Skatalites abbiamo pensato di fare
qualcosa di analogo. Ovviamente, il fatto di aver suonato per anni con
i Toasters ci ha aiutato molto, e sentivamo di aver le carte in regola
per fare bene la nostra musica. Inoltre, il fatto di essere così
amici con Buck e quelli della Moon ci ha dato la certezza di poter far
pubblicare i nostri dischi.
In pratica,
tutto è nato per il gusto di suonare qualcosa di nostro, ma poi ci
siamo subito detti “Dobbiamo registrare questa roba. E’ bella".
Quindi per quanto tempo
siete rimasti a suonare prima di capire che volevate fare un disco?
Praticamente
dopo la seconda session di prove.
Quindi avevate capito
subito quanto eravate bravi.
Proprio così.
Ci siamo ritrovati per suonare e abbiamo detto “Questa roba è
davvero forte. Registriamo".
La prima cosa che mi ha
colpito è stato il vostro nome. E’ molto diretto, ed è la
combinazione di alcune parole molto inflazionate. Scomponiamolo:
cominciamo con New York. New York è una grande città, con un sacco
di gente, con un sacco di grandi idee e grandi ego. Quindi, al di
fuori della scena ska, come ha reagito la cultura musicale della città
all’uso del nome della città?
Per ora è
andato tutto benone. In effetti, abbiamo un nucleo storico di fans in
questa città, quindi è ovvio che suoniamo molto spesso in posti come
“The Knitting Factory" o al “Wetlands". Però abbiamo suonato
anche al Manhattan Center davanti a 1000-1500 persone, ed era pure il
nostro primo concerto. Abbiamo sempre ricevuto accoglienze ottime qui
a New York, e ci hanno pure recensito molto bene su “The Voice" e
su altri giornali. Quindi direi che a New York non ci sono problemi.
Forse a Long Island è già un po’ diverso; non tanto perché non ci
vogliano bene, ma quanto perché non ci sono molti posti per suonare.
Avete molti fans nella comunità
jazz di New York?
Penso che
stiamo cominciando ad averne ora, specie da quando suoniamo
regolarmente al “Knitting Factory", anche se non so se sia tutta
gente di New York. Tempo fa mi dicesti che siete stati recensiti
positivamente da Norman Weinstein (Weinstein
è un noto critico jazz ed ha nominato “Flip F’Real" – il 1°
CD degli Articles – miglior disco reggae del 1997) e
devo dire che anche noi siamo stati recensiti molto bene sia da lui
che da altri critici jazz. Non è che nessuno ci consideri parte della
scena jazz di New York. Direi solo che abbiamo parecchi fans tra gli
appassionati di jazz. Suonare al “Knitting Factory" significa
avere quel tipo di pubblico. Tutta gente che non credo che verrebbe a
vederci ad una matinée domenicale al “Wetlands". Lì abbiamo fans
più giovani.
Noi degli Articles abbiamo
scoperto che abbiamo un sacco di fans che sono loro stessi musicisti.
Capita anche a voi?
Si e no.
C’è gente diversa che viene ai nostri show. Ci sono parecchi
ragazzini che vengono per sentire lo Ska; e la cosa bella è che molti
di loro vengono a dirci che anche la loro mamma ascolta i nostri
dischi o viene ai concerti. Ad ogni modo, sono certo che abbiamo
parecchi fans tra i musicisti, ma non direi che il nostro pubblico è
composto in maggioranza da loro.
Dunque dici che avete molti
fans tra gli Ska-Kids, quindi mi rifaccio alla domanda di prima e
torniamo alle parole che compongono il vostro nome: veniamo alla
parola Ska. A New York, la scena Ska si è sempre dimostrata parecchio
recettiva verso nuove idee, sia nel bene che nel male. Nei confronti
del Jazz, però, c’è sempre stata un po’ di diffidenza. Sembra
che possa allontanare o quasi intimidire il pubblico. Mi chiedevo se
la natura jazz della vostra musica possa allontanare parecchi di
questi Ska-Kids?
Credo che
la scena Ska sia un attimino confusa. Voglio dire, si va dalle
influenze Ska-Punk a quelle più tradizionali. Probabilmente la gente
che è esclusivamente dentro la parte Ska-Punk della scena non ci
apprezzerà molto. Però anche questa è una generalizzazione perché
so che abbiamo fans che ascoltano un po’ di tutto, dai Less Than
Jake a cose anche più dure, e comunque ci apprezzano ugualmente. In
effetti però, devo dire che generalmente la gente che tende a non
discostarsi molto dallo Ska più tradizionale, non apprezza molto le
contaminazioni jazz. Ci sono state alcune recensioni non del tutto
positive nei confronti dei nostri lavori. Certo se qualcuno pensa di
venire ai nostri concerti per ascoltare musica Ska con elementi thrash
rimarrà deluso.
Sentite la necessità di
mantenere la vostra musica sul lato più popolare del Jazz o pensi che
ci sia una linea immaginaria oltre la quale comincereste a perdere
pubblico?
Credo ci
sia la possibilità, si. Ma non è che la cosa mi interessi molto. Io
vedo i NYSJE come una dance-band, e finchè suono musica ballabile,
non mi importa che tipo di musica suono. Si vede soprattutto in
canzoni come “Haitian Fight". Ai concerti ci sono un sacco di
ragazzini che gridano “suonatela!!! Suonatela!!!". Se ci pensi,
quella canzone non è altro che Charles Mingus. E’ come se questi
ragazzini siano lì a gridare per un eroe dell’avant garde Jazz.
Poi, il modo in cui lo arrangi non è importante. Finchè la gente
balla, si può suonare di tutto. E’ sufficiente che ci sia il
groove. Poi, se un giorno si attraverserà questa linea di cui parli,
non lo so. Forse può avvenire in modo naturale. E comunque, questo
discorso mi porta ad affrontare un punto fondamentale per me e per la
musica che facciamo. E’ un concetto importante che noi NYSJE
vogliamo portare avanti e che credo ci abbia dato il successo che
stiamo avendo ultimamente, e cioè che il Jazz non è altro che la
musica popolare di un tempo. Il Jazz era la musica popolare durante
gli anni ’40; è ciò che la gente ascoltava, ciò che la radio
trasmetteva, ciò su cui la gente ballava. Poi altri generi di musica
sono subentrati e il Jazz è diventato un po’
tipo “roba per pochi intenditori".
Io invece credo che la musica sia per la gente e se suoni, devi
portare la musica verso la gente. Quindi direi che i NYSJE vogliono
riportare il Jazz ai tempi in cui il Jazz era divertimento.
La musica di Mingus ha
sempre avuto qualcosa di mistico per me.
Un elemento
spirituale.
Esattamente; mentre Miles
Davis aveva un approccio più freddo. Per questo gravito maggiormente
attorno alla musica di Mingus che mi pare abbia origini più popolari.
Questo mi
fa pensare ad un’altra cosa importante per me. Molti mi chiedono:
“Che musica ti piace ascoltare? Quali sono le tue band
preferite?". Di solito rispondo che mi piace la musica suonata col
cuore; mi piace la musica con un’anima. E’ una cosa che va al di là
della tua domanda circa il fatto che suonare Jazz possa allontanare il
pubblico, o se il jazz è commerciale o meno. Di fatto noi non
facciamo altro che suonare musica. Niente di più. Certo, mi piace che
venga catalogata. Infatti noi stessi usiamo le parole Jazz e Ska nel
nostro nome. E la realtà è che noi suoniamo la musica che amiamo,
che abbiamo nel cuore. E grazie a Dio, sembra che gli altri la
apprezzino. E così dovrebbe essere. Uno non deve suonare musica perché
pensa che con quella avrà successo. E’ come il discorso di prima
sul pezzo di Mingus. A te piace perché ha quel groove. Ti va di
rifarla con un groove molto spirituale; bene, allora falla.
Il termine Ska-Jazz è stato
dato agli Articles dopo che abbiamo iniziato a suonare ed è stato
usato per descrivere i gruppi che fanno Ska, suonando da una
piattaforma Jazz. Conoscevate il termine Ska-Jazz prima che vi
formaste?
Quel
termine l’abbiamo inventato noi.
Siete stati voi?
Già
Allora come vi sentite ad aver
inventato un termine così in voga ultimamente, almeno in questa
scena?
Mi piace.
Mi fa pensare che siamo stati i primi in un certo senso. Indubbiamente
ci sono stati gli Skatalites e tutto il Jazz giamaicano ma penso che
ad “americanizzare" il genere, siamo stati i primi.
Pensi che il fatto di avere
un nome che rappresenta un intero movimento vi metta possa esporre
troppo? Sentite pressione sulla band?
A volte si.
Però devo dire che non è che la gente ci dia molta importanza.
Abbiamo un nostro seguito, siamo conosciuti in tutto il mondo, ma non
penso che sia molto importante. Dopotutto non credo che la maggior
parte della gente non abbia grossa cultura circa lo Ska. Abbiamo
suonato al Bob Marley Reggae festival, ma non penso che fossero in
molti a sapere chi fosse Laurel
Aitken. Quindi, direi che noi abbiamo
un nostro seguito, ma penso che in generale, la gente non sappia
ancora molto sul termine Ska-Jazz. Molti non sanno nemmeno cosa sia lo
Ska. Quindi penso che se c’è pressione su di noi, questa venga solo
da dentro il movimento Ska. Il concetto è molto semplice: tu vai
fuori, vuoi suonare, vuoi dare il meglio di te stesso. Tutto qua. Non
abbiamo più pressione di quanta ne abbiate voi (The
Articles) quando suonate dal vivo.
Odio tornare a parlare del
vostro nome ancora una volta, però mi pare che i NYSJE godano di un
notevole successo al di fuori degli U.S.A. Credi che il fatto di avere
delle parole così impegnative nel vostro nome come “New York" e
“Jazz" vi abbia aiutato ad avere successo in Europa dove
storicamente il pubblico viene attratto da cose americane e anche
Jazz? Pensi che il nome vi abbia aiutati più che con altre band come
gli “Eastern Standard Time" o anche come gli “Articles"?
Penso di
si. Si, di sicuro. Però ci sono un po’ di cose che vorrei dire
circa tutta la scena europea. Quando vai a suonare in cittadine in
Polonia o in Germania est, solo il fatto di essere di New York
equivale a dire “WOW". Hanno sentito parlare della città più
grande del mondo e già questo è un punto a tuo favore. Io credo che
sia un vantaggio essere di New York. Credo ci sia un’attitudine
dietro, non è una questione di egocentrismo. Penso sia una questione
stilistica, musicale; avere successo a New York ti da una spinta
maggiore. L’ho avuta io e l’ha avuta la band. Inoltre bisogna dire
che in Europa sono molto aperti verso nuove forme di musica; poi, come
hai detto tu, in Europa hanno sempre tenuto in ottima considerazione
il Jazz ed i musicisti Jazz.
Inoltre, ho
sempre sognato, anche prima di formare i NYSJE di andare a suonare in
Europa e suonare in quei festival che ci sono laggiù, perché ero
convinto, ed è comunque risaputo, che i musicisti americani sono
trattati meglio e con maggior rispetto che qua da noi. A questo
aggiungi che quasi tutti noi della band, proveniamo da band già
parecchio conosciute come Skatalites,
Toasters, Scofflaws, Victor Rice
ha suonato con Desmond Dekker, Cary Brown ha suonato con Eek A Mouse,
io stesso sono stato in Europa almeno 14 volte, di cui quattro con i
NYSJE. Quindi conoscevamo già molte persone, i posti per suonare, la
scena, altre bands e sapevamo cosa avremmo trovato. Il fatto di essere
stato in Europa un sacco di volte con i Toasters
mi ha aiutato molto a
conoscere un bel po’ di gente che ci ha aiutati. Inizialmente, il
fatto di avere alle spalle un passato con le band di cui ti ho detto,
ci ha aiutati molto ad essere accolti favorevolmente, poi però, vuoi
che la gente ti venga a vedere per quello che sei adesso. Non voglio
essere conosciuto come un ex-Toaster, anche se ne sono orgoglioso,
preferisco camminare con le mie gambe. E sinceramente penso che sia io
che la band ci stia riuscendo bene.
Ad ogni
modo, scoprirete anche voi (The
Articles) che essere americani aiuta molto in Europa, anche se
essere bravi, fare buona musica, avere fortuna, non ha nulla a che
vedere con il paese da cui arrivi. In Europa è diverso. C’è una
cultura diversa. E’ interessante.
Restando in tema di band nelle
quali avete suonato, e dei Toasters in particolare, mi pare che già
nelle prime cose della band ci fossero già i sentori di alcune cose
che poi sono uscite coi NYSJE. In “Thrill me up" c’è una
versione di “Rhapsody in Blue" di Gershwin ed in “Dub 56"
avete fatto “A Night In Tunisia" di Dizzy Gillespie; significa che
anche la più pop delle Ska band ha delle origini Jazz?
Credo di
si! Credo sia vero per le band di New York ed in generale per le band
con una grossa sezione fiati. Io stesso, Rick Faulkner e Sledge siamo
gente che viene dal Jazz. E ce ne sono un sacco di appassionati a New
York. E se hai una qualsiasi band con una sezione fiati a New York,
qualsiasi cosa tu suoni, c’è una forte probabilità che tu abbia
qualche influenza Jazz. E prima o poi viene fuori.
Non pensi che il fatto di
aver aperto una strada Jazz nei Toasters abbia contribuito a spostare
un po’ i gusti dei fans più giovani verso sonorità più
tranquille?
Sicuramente
non è stata una cosa consapevole. Forse inconsciamente è successo
quello che dici tu. A dire il vero, comunque, noi volevamo cercare
sonorità diverse.
Credo che una delle cose più
carine che la sezione fiati dei Toasters abbia fatto in una delle
ultime canzoni, molto pop, sia stato di riproporre la melodia di Cool
Blues di Charlie Parker. Mi piace ogni volta che la sento e sono
convinto che sotto ci fosse un messaggio in codice che i fiati dei
Toasters hanno lanciato a tutti i musicisti in ascolto.
In effetti,
sai come vanno queste cose: i musicisti di strumenti a fiato hanno un
loro linguaggio, e a volte ci mandiamo dei messaggi. Poi, come sezione
fiati dei Toasters, eravamo molto uniti, ma quando c’era da fare un
assolo, venivano fuori ile influenze di ognuno di noi. E le nostre
influenze non sono solo Jazz, anche se queste sono forse la parte più
importante.
Se penso alla fusione che
ha fatto tra musica latina, swing, bop e Ska, si dice che Joey Altruda
sia il vero padre dello Ska-Jazz. Lo pensi anche tu?
Credo di
si. Sapevo che tempo fa Joey stava lavorando su queste sonorità. Poi
ho sentito un suo pezzo su “California Skaquake". Però credo che
la musica di Joey abbia molte più influenze latine rispetto a noi.
Inoltre aveva anche una forte componente Swing.
L’origine
dello Ska-Jazz può essere attribuita a chi vuoi, siano gli Skatalites
o i vecchi musicisti Jazz giamaicani. Noi abbiamo coniato il termine,
e nella nostra realtà abbiamo iniziato la cosa a New York; Joey l'ha
iniziata in California. Se ascolti prima i NYSJE e poi ascolti “Jump With Joey" ti accorgi che ci sono punti in comune ma anche
molte differenze.
Quindi c’è un sound della
west coast e, come hai detto, la musica di Joey ha parecchie influenze
latine.
Si.
Ma esiste un sound della
east coast?
Si. Ed ha
molti degli elementi di cui parlavo prima: armonie più stirate, ritmi
più veloci, e a volte più nervosi e sincopati. Nel nostro primo
disco ad esempio, c’è un pezzo che ho scritto, “Nasty by
Nature", che ha un ritmo davvero frenetico, che non penso trovi in
una band della California. Non so, forse esagero, però è un po’
come mettere di fronte il Cool Jazz ed il Bebop. Ci sono differenze.
Esiste un grosso elemento
critico nella east coast, vuoi per la Moon
Records, vuoi per la
Version City, ma anche nella scena di Long Island. C’è molta
interazione tra i musicisti. Nel vostro primo disco avete avuto
parecchi ospiti: da Caz dei Checkered Cabs, a Steven Jackson dei
Pietasters tutti di Washington D.C., per non parlare di tutti i vostri
compagni delle vostre bands d’origine. Credi che questo
coinvolgimento di altri musicisti contribuisca a creare un sound
tipico della east coast?
Sicuramente
contribuisce; ed è bello che si crei un sound che caratterizzi la
east coast. Personalmente sono stato uno dei primi a mettere insieme
il tutto. Ho cominciato a suonare negli Scofflaws, poi con un sacco di
altri gruppi. Quindi per forza devi imparare un sacco di canzoni e
questo ti aiuta moltissimo sia a crescere come musicista che a creare
un tuo sound. Dopo un po’ di tempo che suoni in una band, assorbi il
loro sound.
A questo proposito, trovo
molto interessante che un personaggio come Jeff Baker, aka King
Django, che è solito interagire con diversi musicisti e diverse
bands, sia in grado di adattare le sue composizioni pensando a quali
musicisti esse sono rivolte. Può scrivere un pezzo con lo stile dei
Skinnerbox, poi scriverne un altro per gli Stubborn All-Stars. Per non
parlare di tutti i cambiamenti che il musicisti della Version City
hanno subito grazie alla sua influenza diretta o indiretta. Questo
è un fenomeno unico di New York. Non credo che possa avvenire niente
del genere in California.
E’ vero.
Molti gruppi dicono “questa è la mia band, tu non ne fai parte".
Ci si isola. E questo non è un discorso che rientra molto nella
mentalità di New York. Se hai buoni musicisti nella tua band, è
giusto che questi possano andare a suonare anche altrove qualche
volta, allora spesso ti succede che devi sostituirli. Non so. Forse è
giusto. Forse è sbagliato. Però non mi sarebbe piaciuto dover
sostituire uno dei beatles, fossi stato in loro. Non so se sia giusto
o sbagliato. Io credo sia giusto perché questo contribuisce a creare
un tuo sound. Ogni band ha una sua identità, però è bello che ci
sia un giro di musicisti intorno alla scena. Al momento purtroppo non
ce ne sono molti che suonano con i NYSJE perché è molto difficile
trovare gente che apprezzi lo Ska ed il Jazz allo stesso tempo, gente
che conosca la sensibilità, non c’è molta gente in giro, e questa
è New York. Non so cosa possa succedere se uno degli Articles non può
suonare ad un concerto.
In effetti è una cosa
interessante. Per quel che ci riguarda, siamo diventati un gruppo
molto compatto. Siamo in sei e ogni elemento è importante.
Rappresentiamo una specie di magnete per molti musicisti della nostra
zona e questo ha portato nella band ottimi musicisti; adesso in
effetti sta diventando difficile trovarne di nuovi in caso di necessità.
Ma torniamo a voi. Volevo
farti una domanda molto profonda: se la prima ondata di Ska ha avuto
come artefici i vecchi musicisti Jazz giamaicani, e la seconda ondata,
quella Two Tone, ha avuto a che fare col Punk, la terza, più
eterogenea ha messo insieme elementi Jazz ed elementi Punk. In tutto
questo, i NYSJE cosa ha saputo insegnare ai Punk, e cosa ha imparato
dai Punk?
Beh, devo
dire che spesso il mio concetto di “ondate Ska" è del tutto
diverso; nel senso che credo che quello che stiamo facendo ora
rappresenti una quarta onda. Però torniamo alla tua domanda: cosa
abbiamo imparato dai Punks? Direi solamente la grinta. Vibrazioni,
energia, capacità di stare sul palco. Credo siano queste le cose. Non
vorrei diventare faceto: mi sta bene se uno mangia il proprio vomito.
L’ho visto fare, giuro! Però non sono cose che mi piacciono. Ho
imparato anche la semplicità; ho imparato che a volte fare di meno
significa fare di più. Ho imparato che non è necessario raggiungere
vette intellettuali altissime, che è sufficiente che tu senta la
musica dentro.
E cosa avete insegnato ai
Punks?
Cosa spero
di avergli insegnato? Che la buona musica è buona musica. Che solo
perché c’è la parola Jazz, non vuol dire che ti stia insultando. I
grandi compositori sono grandi compositori. Vivranno per sempre. Solo
perché abbiamo questa influenza Jazz, non significa che non possiamo
essere forti. Anche noi possiamo calciarvi il culo!!!
Esattamente! Ritornando alle
“onde". Tu parli di una quarta onda, e potremmo fare decine di
interviste su questo argomento, su chi definisce le onde, su cosa le
distingue. Se però collochiamo i NYSJE in questa terza onda, e
ammettiamo che ci sia un altro revival entro i prossimi dieci anni,
che ruolo pensi che possiate avere al suo interno? Cosa fareste?
Io spero
che noi potremo crescere. Spero che potremo evolverci. Sia io che la
band abbiamo come obiettivo quello di poter suonare davanti al maggior
numero di persone possibile. Voglio che la band sia il più creativa
possibile, che scriva nuovi pezzi, nuova roba, voglio aggiungere a ciò
che abbiamo già e andare sempre avanti. E’ un concetto che sta al
di fuori delle varie onde. E’ una cosa che riguarda i musicisti e
quello che vogliono fare: suonare, crescere, migliorarsi, migliorare
la band, migliorarsi in studio e nelle registrazioni, essere ascoltati
da sempre più gente.
Sempre ammettendo che questa
sia la terza ondata; credi che durerà ancora molto?
Domanda
difficile.
Credi che i Toasters
saranno ancora in giro?
Credo di
si, che potranno essere ancora in giro. Io penso che i Toasters siano
una nuova band adesso. E’ molto probabile che saranno ancora in
giro.
E pensi che gli Specials
possano vivere nel mito un po’ come fanno gli Skatalites, o pensi
che rientrino nella parte commerciale del fenomeno?
Difficile
da dire. Ho ascoltato uno dei loro ultimi dischi e devo dire che non
mi è piaciuto molto. Non era nulla di nuovo. Mi pareva la solita roba
riciclata. E pure registrata malino.
Però tempo
fa avevamo una serata libera a Portland e sono andato a vederli
suonare. Sono stati incredibili. Per cui penso che se riescono a fare
concerti del genere, allora credo che anche loro ci saranno ancora per
molto, perché sono stati grandi. Poi anche perché hanno dalla loro
il nome e la storia per poter andare avanti.
Anche gli Skatalites
bisogna dire che hanno fatto uscire materiale con registrazioni
pessime, eppure suonano in un modo fenomenale.
Esatto.
Penso che questo ci porti
all’importanza di suonare dal vivo. Credo che la terza ondata Ska
stia per finire in quanto troppo controllata dalla grande industria
musicale. Penso che lo Ska-Jazz possa sopravvivere proprio perché
rimane al di fuori dal contesto del successo economico della cosa.
Pensi che i gruppi che hanno cavalcato il lato commerciale
dell’onda, quelle bands con un sound più pop, siano destinate ad
entrare nel dimenticatoio, e pensi che le bands con un sound più Jazz
rimangano fuori dall’aspetto commerciale del fenomeno?
Prima ti
volevo dire un’altra cosa circa la quarta ondata. Gruppi come i
NYSJE e come gli Articles sono una appendice. Possiamo essere
considerati come una specie di colpo di coda della terza ondata Ska, o
qualcosa di unico, ma fondamentalmente siamo una appendice, una
estensione; abbiamo mosso la scena in avanti.
Circa il
lato commerciale del discorso, bisogna dire che ci sono in giro ancora
un sacco di band giovani, e questo è bello. E’ anche vero che molte
band che non hanno raggiunto il successo che speravano, hanno
abbandonato il tutto. Io credo che farò il musicista per tutta la
vita. Sia che suoni coi Toasters o coi NYSJE, o con Stanley Jordan o
chiunque altro, andrò avanti a suonare il sassofono ed il flauto
finchè riuscirò a stare in piedi. Bisogna essere creativi su cosa si
vuol fare per vivere. Certo mi piacerebbe vendere tonnellate di
dischi, però sono anche contento di quello che stiamo vendendo ora.
So che abbiamo venduto molti più dischi di un sacco di altri
musicisti Jazz, e anche il pubblico che viene a vederci è grandioso.
Continuerò a suonare questa musica e cercherò di portare avanti
questa band. Il lato commerciale è molto difficile da affrontare. Non
ho deciso di fare musica per diventare ricco; ho deciso di fare musica
perché amo la musica. L’aspetto economico e del business, di cui mi
occupo parecchio all’interno del gruppo, hanno un unico fine: quello
di permettermi di andare avanti a suonare il sassofono. Fare soldi è
difficile. Tra un po’ registreremo un pezzo reggae e ne faremo anche
un video, quindi potrebbe diventare una piccola hit. Personalmente non
mi va di occuparmi di soldi.
In effetti
dipendiamo dal mercato. Un tempo non c’erano gruppi Ska e facevi un
concerto al mese; poi uno alla settimana, poi all’improvviso abbiamo
cominciato a fare tre concerti alla settimana e tra i gruppi è nata
una grossa competizione, creando anche poca unità nella scena. A quel
punto le grosse compagnie discografiche hanno cominciato a vedere che
lo Ska era di moda e hanno preso alcune bands e ci hanno fatto sopra
un sacco di soldi. I gruppi come il nostro penso che siano sempre
state fuori da questo discorso. Penso che sia un bene, perché anche
se lo Ska non sta vivendo un grande periodo, noi non ne risentiamo.
Voglio dire, abbiamo appena suonato il nostro show più grande (al Bob
Marley Reggae Festival). E’ un peccato che la scena non sia attiva
come un tempo, però vedo che se sei una buona band e fai buona
musica, non è importante che etichetta ti metti addosso, la gente
viene lo stesso a vederti e compra i tuoi dischi.
Creativamente, dove stanno
andando i NYSJE? In qualche luogo che ci sorprenderà?
In ogni
disco abbiamo messo qualcosa di nuovo.
Abbiamo cercato di allargare i nostri orizzonti. Stavo pensando
che mi piacerebbe fare un arrangiamento con solo la sezione fiati.
Potresti partecipare anche tu.
Certo.
Ne ho
parlato un po’ con Rick Faulkner. Rick ha molte influenze latine e
insieme abbiamo messo giù qualche buona idea, per cui penso che
faremo qualcosa di diverso prossimamente. Se ci fai caso, nel nostro
terzo disco (“Get This") abbiamo cambiato molto rispetto ai primi
due.
Si sente un approccio
maggiormente pop in alcuni brani. Una maggior sensibilità pop nel
senso che ci sono delle melodie davvero incalzanti. Penso a
“Tilt-a-Whirl". Ha una progressione davvero complicata.
E’
vero! Ed è molto bello suonarla.
Ti prende.
E’ Cary
Brown. E’ un grande compositore; ha scritto anche Blue Lunar Ska,
che è uno dei miei pezzi preferiti.
E’ anche il mio pezzo
preferito del secondo disco (“Low Blow").
Si, non so
se certe melodie nascano in modo conscio o meno. Sapevo che Cary e
Victor avrebbero scritto melodie più buie, mentre io scrivo cose
leggermente diverse.
Come Articles, molto del
nostro nuovo materiale, anzi, direi tutto, è scritto e composto su
carta. E’ molto utile per controllare il tempo e per far sì che si
possa dare il meglio anche durante le prove. Inizialmente non c’era
nulla di scritto e tutto si svolgeva in collaborazione. Immagino che
voi componiate tutto su carta, o le melodie nascono dalla evoluzione
di jam sessions?
Di solito
ognuno scrive il proprio pezzo.
Vi capita mai di iniziare
come jam session e poi scrivere un pezzo da quel punto?
Si, spesso.
Dimmi un brano nato in quel
modo.
“Yeah
Yeah". Quel pezzo (da “Get This") è nato durante le
registrazioni per Kablam! (Kablam! È un programma televisivo per
bambini in cui Buck e i Toasters hanno scritto le musiche) ed è nata
come jam.
Personalmente ho molti
pezzi degli Articles che mi piacciono parecchio, ma quelli che
preferisco sono quelli che abbiamo scritto tutti insieme.
Si, ma nei
NYSJE questo non accade molto. Generalmente arriva qualcuno con una
base, o un’idea originale. Per esempio, quando abbiamo scritto
“Moon Indigo", c’è stata una sorta di unanimità nella
composizione. Qualcuno ha iniziato a suonarla durante le prove e tutti
gli siamo andati dietro senza nemmeno che ce ne accorgemmo. E’
piaciuta a tutti. Certo, poi ognuno mette qualcosa di suo, ma
fondamentalmente è uno di noi che arriva con il pezzo già pronto.
C’è comunque molta collaborazione.
In fondo penso sia il modo in
cui lavorano la maggior parte delle band. Per quel che riguarda gli
Articles, con l’evolversi del nostro modo di comporre, ci siamo
evoluti anche come musicisti. Per cui siamo passati da essere un
gruppo di “Yahoos" che facevano casino, ad un gruppo di
sofisticati compositori. Il fatto scrivere le nostre composizioni fa
parte della nostra evoluzione. A proposito di evoluzione, avete un
nuovo bassista. Victor Rice non è più nella band. Chi è il nuovo
bassista?
Sheldon
Gregg
Scrive canzoni pure lui o
sta ancora in panchina?
A dire il
vero non abbiamo ancora registrato nulla di nuovo. In ogni caso è
sicuramente il benvenuto se vuol farlo. Non voglio che si senta in
disparte. Non voglio che nessuno nella band si senta così. Arriva con
una sensibilità molto reggae, il che significa che in un certo senso
si può adattare meglio di Victor. Non so. Ha un ottimo groove col
batterista, questo è certo, quindi mi pare che la band suoni meglio
che mai. Quando abbiamo suonato in giro con Laurel
Aitken, anche lui
proponeva di suonare altri brani, tipo “Summertime in The Ghetto",
quindi non penso che si possa sentire emarginato nella band. Giusto
oggi facevo questo discorso con Rick Faulkner, e dicevamo come nei
Toasters ci sentissimo un po’ gli ultimi arrivati. Abbiamo sempre
avuto la sensazione di non essere mai stati parte del nucleo pulsante
della band. Quindi, in un certo senso, i Toasters non li abbiamo mai
sentiti come nostri. Io vorrei che tutti i membri dei NYSJE si sentano
parte della band perché sono parte della band. Poi il bassista ha un
ruolo molto importante.
Forse la più importante,
secondo me.
Esatto. Sai
anche tu quanto sia importante. Ma a dire il vero tutti lo sono. E
inoltre non è facile rimpiazzare qualcuno; è una cosa che non vorrei
mai accadesse.
Per concludere, e non sto
andando in cerca di facili complimenti, quali bands hai apprezzato
maggiormente per spingere lo Ska-Jazz verso un pubblico più vasto?
Beh,
sicuramente gli Articles, e sicuramente gli Eastern Standard
Time;
sono le prime due che mi vengono in mente. Penso che i Jazz Jamaica
siano bravi ma non mi fanno impazzire. Mi piacciono i Jump With
Joey.
Non hai mai sentito i Gangster Politics di Montreal? Victor ha
prodotto il loro disco subito dopo quello degli Articles (Flip
F’Real).
No, mai
sentiti.
Dovresti, è uscito per la
Stomp Records, una etichetta consociata alla moon. E’ veramente un
bel disco, penso ti piacerebbe.
Come si
chiama?
Gangster Politics, il nome
della band.
Vedrò di
procurarmelo.
Grazie davvero moltissimo
Freddie. E’ stato davvero bellissimo parlare con te. Per concludere,
qualcosa da dire per gli amici in Europa?
Certo; se
questa intervista va ad Alessandro, vorrei dire in particolare
all’Italia ed ai fans italiani che i NYSJE adorano suonare in
Italia. Il pubblico ci ha già adottati e ci sentiamo praticamente a
casa. Abbiamo suonato davanti a un sacco di gente e abbiamo fatto dei
bellissimi concerti. Poi ci danno sempre un sacco di cose buone da
mangiare e ci trattano davvero bene. Ovviamente speriamo di suonarci
ancora presto; probabilmente questa estate. Davvero amiamo i fans
italiani.
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