Dopo averlo pubblicizzato tramite
un concorsone di SkabadiP, andiamo a visitare il festival più
Indipendente che ci sia.
La mattina del fatidico giorno,
la mia macchina decide che anche per lei la domenica è una
giornata da dedicare al riposo e pensa bene di non muoversi da dove
l’avevo parcheggiata la sera prima. In situazioni come queste, anche
uno come me, capace di restare tranquillo pure sotto un bombardamento
nucleare si pone una serie di quesiti sul senso delle cose e della
vita in generale. Volano i primi accidenti e maledizioni di ogni
genere verso tutto e tutti: dai costruttori di auto tedesche a chi
dovrebbe essere implicato nello svolgimento degli eventi. Così, mi
improvviso elettrauto fai da tè e dopo qualche quarto d’ora di
ulteriori imprecazioni, calci, ostie, e improbabili collegamenti
elettrici, l’auto si sveglia dal torpore e stabilisce che può degnarsi
di portare me e le mie amiche/collaboratrici Giusy e Monica fino a
Bologna. Si parte.
Il viaggio
si svolge senza intoppi particolari e si arriva a concerto già iniziato. Il tempo di raccogliere le idee e
arrivare all’arena Parco Nord nella cornice della
festa de l’Unità ed eccomi ai botteghini a ritirare il pass: mi
dona, niente da dire. Sopra c’è scritto: Photo/TV, quasi mi sento
importante. Dico quasi perché appena entro nell’arena e mi rendo conto
che stanno suonando i
Reel Big Fish cerco di utilizzare il mio pass per mettermi a
fotografare quando vengo brutalizzato da una specie di veterano di non
so quale delle tante guerre in corso, che mi rispedisce da dove sono
venuto e senza passare dal via con la seguente motivazione: “si può
fotografare solo durante le prime tre canzoni, e ora sono già alla
quarta!".
“Ma io arrivo da lontano", “Non partiva
la macchina", “C’era coda in autostrada", replico confidando che anche
in lui batta un cuore e un animo compassionevole. Non è così. La
prossima volta imparo a far tardi….e così mi lancio tra lo scatenato
pubblico che gremisce l’arena all’inverosimile e scatto qualche foto ai
miei beniamini di lunga data, i
Reel Big Fish, appunto.
Ero curioso di vederli dal vivo,
fortuna che non mi era mai capitata prima di oggi. Ska core di quello
tutto da ridere, con testi demenziali e atmosfera di quelle da party
danzante. Mi godo, “Beer", “She has a girlfriend now", “Everything
Sucks", “Trendy" e praticamente ogni altra loro hit. Ottimi musicisti,
divertenti, il pubblico apprezza. Si balla e si suda. L’atmosfera dei
loro concerti pare essere la stessa, scanzonata e goliardica, dei loro
video, vere e proprie gemme di creatività demenziale.
Faccio un passo indietro: il ritardo
causato dagli inconvenienti già descritti ha fatto si che mi sia perso
le esibizioni di un paio di altre band, per l’esattezza dei
Meganoidi e dei
Tre Allegri Ragazzi Morti. Me ne dispiace, specie per i
Meganoidi, di cui si fa un gran parlare nell’ambiente, dopo che
hanno spopolato con una canzoncina ed un video un po’ ska ed un po’ punk
molto carini.
E comunque, tornando a noi, una volta
finita l’esibizione dei
RBF trovo qualche minuto per conoscere alcuni dei fortunati
vincitori del nostro concorso, e così colgo l’occasione per tastare il
terreno sui pro e i contro [contro ???] del nostro fantastico sito. Uno di loro,
Danilo, mi si avvicina ed esordisce con un laconico e tagliente “ti
pensavo più giovane". Faccio finta di incassare il colpo e faccio il
simpaticone; in realtà, dentro di me, gli ho augurato di essere colpito
da temporanea sordità, lunga tutta la durata del concerto. Ad ogni modo,
visto che
Alessandro mi ha spedito a Bologna anche per questo, dai colloqui
avuti coi simpatici vincitori, è emersa una sostanziale verità:
SkabadiP è aggiornato troppo poco spesso e la grafica è sempre
uguale a se stessa. Tutte cose che sappiamo già e alle quali ribattiamo
con argomenti molto validi quali:
·
Trovare un grafico
all’altezza della situazione è impresa difficile e nonostante la
redazione tutta si sia data da fare in ogni modo per trovare una figura
all’altezza, ogni sforzo in tal senso si è rivelato vano. In parole più
semplici, non troviamo nessuno che abbia voglia di occuparsi della parte
grafica senza beccare una lira.
·
Gli impegni lavorativi,
personali, sociali e affettivi dei redattori di
SkabadiP, assorbono molto tempo e, malauguratamente, spesso ci
vediamo costretti a sacrificare parte delle nostre passioni per
dedicarci a cose più grette e materiali ma che ci consentono altresì di
condurre una vita sociale degna di questo nome. Parafrasando: siamo
tutti assai pigri. [non siamo, sei prigro!..e poi caz...non si
dovevano lavare i panni sporchi in famiglia???]
Va detto che l’Independent
Days Festival consiste in una maratona musicale di due giorni che ha
visto susseguirsi più di 20 band dai nomi più o meno altisonanti su due
diversi palchi. Una cosa notevole, vista da un profano come me.
L’ambiente è quella tipica di un festival rock, con una arena gigante,
dotata di tutti i servizi per l’occasione, polverosa, caotica, sudata,
fumata, ma sana e divertente. Il palco è una cosa immensa, sarà lungo
quasi 40 metri. E’ talmente grande che certe band quasi non si vedono,
inghiottite dalla base per altezza diviso due della struttura. Ottimo il
suono, le “casse" sono colonne alte 20 metri. Insomma, per uno abituato
ai concerti nei piccoli locali o nei centri sociali, l’impatto è di
quelli un po’ disarmanti. Un po’ come se per andare a pesca, uno salisse
su una portaerei, tanto per rendere l’idea.
Il bello della seconda giornata del
festival, è che il programma prevede una massiccia presenza di band che
con lo Ska hanno qualcosa, e anche di più, a che fare. Non c’è molta
trippa per gatti se ci si aspetta una cosa a base di Rocksteady e ritmi
dei tempi che furono. Lo Ska suonato a
Bologna è di stampo hard. Di quello che va un po’ per la maggiore
oggi: con solide e sane influenze punk e hardcore. Ma non solo, anzi, a
far da portata altrettanto succulenta in questa giornatina, calda ma
piacevole, ci sono i
Modena City Ramblers, i
Muse, i
Rocket From The Crypt, la
Banda Bassotti e gli
Africa Unite. Mediamente suonano tutti per una mezz’oretta, qualcuno
di più, qualcuno di meno.
Insomma, mi ero perso durante il
concerto dei
Reel
big fish, così torniamo sotto il palco che dopo i californiani
arrivano i nostrani
Persiana Jones.
Un look molto
beach boys style, una sezione fiati degna di questo nome e
chitarrone a manetta, ecco una versione più hard dei
Persiana.
Ora, non voglio aprire dibattiti noiosi
fino allo svenimento su ciò che sia commerciale e non, pretendere di
insegnare agli altri a fare il proprio mestiere.
I
Persiana
Jones erano grandi 10 anni fa e lo sono tutt’ora. Il loro
Ska ha le chitarre distorte, la batteria picchiata e veloce ed è
divertente. Sembra che a volte, il fatto di proporsi in modo non
ripetitivo fino alla morte sia un’onta e un segno di
“svenditaversoilmonopoliocapitalistadellegrandicasediscografiche". Di
fatto, i
Persiana Jones appaiono come una band che fa quello che gli pare e,
a mio inutile parere, lo fa anche bene. Il pubblico sembra apprezzare.
Io anche.
Li avevo visti un annetto fa e li avevo
trovati un pochino mosci. Ora sono contento di notare un ritrovato
vigore. Neanche fosse che Silvio e soci se ne arrivassero da qualche
casa di riposo.
Lunga vita ai
Persiana Jones, forse un po’ ingrassati, ma si sa, l’opulenza porta
al disfacimento del corpo, dell’animo e della morale. I
Persiana propongono un discreto numero di canzoni tratte sia dal
loro nuovo “Agarra la onda", che dai vecchi, ma sempre attuali lavori.
Notevoli. E già che ci siete date un occhio al loro ricchissimo sito
web.
Passiamo oltre.
Chiuso il capitolo
Persiana Jones è la volta dei
Mad Caddies da
Santa Barbara, soap opera preferita dalle mamme di tutto il mondo [ma
te ne intendi parecchio tu di queste cose, eh?].
Un po’ più grezzi e meno originali dei
connazionali
Reel Big Fish, la band si presenta in versione punk. Ogni membro del
gruppo sfoggia una capigliatura alla moicano. In quest’ottica, la band
fa risaltare un sound più tendente al punk che allo Ska. Piacevole per
chi apprezza il genere, come il sottoscritto, e con una sezione fiati
carina che dà quello slancio ironico e spensierato alla loro musica.
Apprezzabili e skankeggianti i pezzi
dei loro primi lavori “Quality Softcore" e “Duck & Cover" (simpatica
l’interpretazione di “Road Rash" in stile ska/country/core). Un po’ più
ripetitivi e già ascoltati mille altre volte i ritmi proposti dai
successivi album. Carini ed energetici, come la maggior parte delle band
d’oltre oceano. Nulla di più. Insomma, i
Mad Caddies passano via lisci e li lasciamo ai loro meritati
maccheroni.
Così, mentre il caldo comincia a farsi
sentire sulle stanche membra, ci prepariamo ad assistere agli
sconosciuti (per me)
Rocket From The Crypt altra band californiana dalle connotazioni
rock ‘n roll al 100%. Energia da vendere e look di quelli
indimenticabili. Non proprio il mio genere ma nemmeno insopportabili.
Insomma, rimango e me li guardo fino alla fine.
Sudato e affamato me ne esco dall’arena
e mi faccio un giro per la festa de
l’Unità con le mie groupies. Mi perdo, manco a farlo apposta, i
Modena City Ramblers, visti e stravisti negli anni che furono e in
cui forse li apprezzavo un po’ di più e rientro giusto in tempo per
veder terminare la granitica
Banda Bassotti ed il loro punk rock impegnato. Poco o nulla a che
vedere con lo Ska ma sempre incisivi e rudi.
Giunge l’ora degli
Ska-P.
Faccio due chiacchiere con un tipo che
va avanti e indietro dal loro van e dopo un estenuante dialogo
multietnico in una sorta di esperanto globale che andava dal bergamasco
allo spagnolo, passando per un italiano da pagina 777 e toccando punte
di cacofonia demenziale con un inglese da età della pietra, vengo a
sapere che
Ska-P è un gioco di parole tra lo ska e il verbo scappare e che la
pronuncia esatta è “Escape" (non escheip, alla inglese; escape, come si
scrive!!), che poi sta per “scappa!". Questo perché io, come molti di
voi, ho sempre pronunciato il nome della band con un improbabile
“Ska-Pe". Vabbè, io ve lo dico per dovere di cronaca, poi voi fate come
volete.
E comunque, la band di cui sopra si fa
attendere non poco per via di non so bene quali problemi tecnici che ne
ritardano la comparsa sul palco. E così, dopo quasi mezz’ora di attesa
durante la quale gli addetti alla security rinfrescano il pubblico con
provvidenziali docce anticanicola, ecco finalmente i primi movimenti che
presagiscono l’arrivo sul palco della band. E cosi, mentre il sole
allenta la presa e inizia la sua lenta discesa verso l’orizzonte (bella
questa!!), ecco che il simpatico sestetto spagnolo sale sul palco. In
una parola: terrificanti!!!
Esageriamo, paurosi, da brivido, bravi,
coinvolgenti, potenti e chi più ne ha, più ne metta.
E’ la prima volta che li vedevo dal
vivo e devo dire che erano anni che non apprezzavo un’energia ed una
capacità di coinvolgere e di comunicare col pubblico di questo genere.
Vuoi per la presenza di un pubblico quantificabile attorno alle 100.000
persone, vuoi l’esaltazione generale, ma appena gli
Ska-P salgono sul palco, tra il pubblico inizia una gara al crowd
surf ed alla rovina globale.
Una cosa che non vedevo dai tempi che
furono: tempi nei quali la maggior parte del focoso pubblico era forse
solo un’idea in fase embrionale. Gli
Ska-P, per chi non li conoscesse, fondono egregiamente lo ska third
wave con il punk hardcore melodico, senza disdegnare qualche intrusione
in una qualche branchia di heavy metal.
Spesso, questi ibridi portano a risultati del tutto anonimi e
inconcludenti, ma in questo caso bisogna ammettere che il prodotto
creato da questi qui è davvero interessante, coinvolgente e, a parer
mio, piacevolissimo. Il successo di pubblico e vendite parla per loro,
non sono certo io che scopro l’acqua calda.
Poi, vuoi per il loro look punk, vuoi
l’impegno politico un po’ utopistico, vuoi per la mancanza di “stile",
vuoi per una certa dose di invidia, la band incontra anche parecchi
detrattori. Tutto è legittimo. La band si caratterizza per la presenza
di fiati elettronici, ovvero, per l’assenza di una sezione fiati come la
si intende tradizionalmente e sostituita da un unico musicista alle
prese con una tastiera. Idea forse strampalata e che un po’ fa storcere
il naso, ma alla fine l’obiettivo è più che raggiunto. I riffs della
band si basano sulle tastiere e alla fine non danno nemmeno fastidio,
anzi. Non ballare è pressoché impossibile e galvanizzati dalla risposta
calorosa del pubblico di Bologna, gli
Ska-P saltano, ballano, aizzano, sudano, coinvolgono e alla fine
regalano una performance di tre quarti d’ora che per i più resterà quasi
indimenticabile. Originale e fantasioso lo show nello show di Pipi,
seconda voce e anima danzante del gruppo che tra un pezzo e l’altro
trova il modo di vestirsi ad hoc, a seconda del tema della canzone. Ora
da domatore, ora da Papa e così via.
Terminato lo show, si assiste ad uno
scambio di supporters sotto il palco. Gli scalmanati e sudaticci fans
degli
Ska-P, lasciano il posto alle urlanti e focose ammiratrici dei
Muse, o di qualche elemento della band. Chi, a dire il vero, ancora
non l’ho capito. Ora, chi sono i
Muse? I
Muse sono una band inglese che sta avendo un discreto successo e di
cui non conosco praticamente nulla. Secondo alcuni sono una clonazione
dei
Radiohead ma obiettivamente non ho le conoscenze e l’interesse per
dire la mia a questo proposito. Iniziano a suonare verso le 8 di sera.
La stanchezza mi assale, la fame mi offusca. Uno sguardo di intesa con
le mie due amiche e prendiamo la via del ristorante toscano della festa
dove ci rilassiamo per bene davanti ad un piatto di recondite
pappardelle al cinghiale. Son le cose fatte col cuore che rimangono nei
ricordi. E le pappardelle al cinghiale rimangono nel cuore, altroché se
rimangono.
Ma il tour de force bolognese non si
esaurisce. Il tempo stringe e si ritorna alla base per le ultime
esibizioni. Tocca agli
Africa Unite, che si esibiscono in uno show particolarmente
apprezzato e più in chiave Reggae roots e Rock steady del solito.
In occasione del ventennale della band
e in ricordo “Robert
Nesta detto Bob" (un premio al primo che indovina la citazione), il
gruppo sfodera un set di gran classe, molto apprezzato. Per farsi un
idea, posso solo consigliare il loro CD commemorativo. Un disco di
classe.
Un boato accoglie Bunna, vero idolo dei
rasta people della penisola, che vengono presi dal delirio collettivo
quando il frontman scioglie al vento la propria fluente chioma.
Al mio barbiere verrebbe un colpo. Gli
Africa suonano quel bel tre quarti d’ora e siam tutti contenti.
Un ottimo prologo per quello che sta
per arrivare,
Manu Chao.
Lo ritrovo nel backstage, seduto sui
gradini di un pullman. E’ lui o non è lui?? Ha la faccia del bravo
ragazzo e lo riconosco dalle scarpe. Si, son le stesse della copertina
dell’album. Notate il particolare please...
Poco prima avevo tentato di contattare
senza successo Roy Paci, che i più fedeli lettori di
SkabadiP ricorderanno essere stato il protagonista del nostro
concorsone che ha reso alcuni di voi ricchi e famosi. Volevo parlare un
po’ di ska con lui. Sarà per la prossima volta.
Sono quasi le 22 quando
Manu Chao sale sul palco, preceduto da tutta la sua band, Roy Paci
compreso.
Personalmente ero molto curioso di
vederlo e sentire uno dei suoi concerti. Per un motivo o per un altro,
non sono mai riuscito ad apprezzarlo dal vivo, nemmeno ai tempi degli
splendidi
Mano Negra.
Oltretutto penso che
Manu Chao abbia pure non poca attinenza con lo Ska, dal momento che
nei suoi lavori, presenti e passati, ha spesso e volentieri avuto un
occhio di riguardo per certe sonorità in levare. Basti pensare al live
giapponese dei
Mano Negra e ad episodi tutt’altro che isolati presenti nei vecchi
dischi della band, penso al Rocksteady di Peligro, Magic Dice, Baby
You’re Mine , piuttosto che in brani recenti presenti negli ultimi
lavori solisti. Mai Ska puro al 100%, sempre contaminato da mille altri
suoni e mille altre culture, come tutta la produzione di
Manu Chao, a mio parere un grande musicista, e grande personaggio.
Ergo, grande musica durante il suo
show, con punte di Ska vero sostenute da una ottima sezione fiati col
“nostro" Roy Paci a far da trascinatore. Splendido il suo show solista
sulle note del tema di Pinocchio. Il concerto dura quasi un paio d’ore,
durante le quali viene suonato, cantato e ballato quasi tutto il
repertorio di
Manu Chao, con frequentissime intrusioni nel passato dei
Mano Negra. Punte di assoluto delirio si raggiungono con
“Clandestino" e con una “Mala Vida" che definire da brivido è riduttivo.
In sostanza, e per farla breve, uno show, quello del clandestino,
davvero unico e da ricordare.
Così come, per chi scrive, è da
ricordare tutto il festival e tutta la musica vissuta in questa
splendida giornata.
In attesa della prossima edizione,
ringrazio chi ha diviso foto e sensazioni con me quel giorno, Sonja e la
Indipendente, i vincitori del concorso di
SkabadiP che ho avuto il piacere di conoscere e le
pappardelle al cinghiale.
Hasta siempre!!
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