Era da qualche tempo che a SkabadiP
si parlava della possibilità di fare un qualcosa coi BlueBeaters;
un articolo, un’intervista, una recensione per live skavoovie, un
pic-nic, una settimana bianca. Il loro tour primaverile cascava ad hoc
e dopo aver tempestato di telefonate la loro casa discografica, aver
aspettato sotto casa addetti all’ufficio stampa, tour manager e
minacciato di rapire le fidanzate di Giuliano e soci, ecco che
qualcosa siamo riusciti ad ottenere. Niente intervista per ora, anche
se ci siamo andati vicino tanto così. Sarà per un’altra volta. A SkabadiP
non ci perdiamo d’animo tanto facilmente e la nostra caparbietà
alla fine viene ricompensata, anche se ho il sospetto che un giorno ci
procurerà un sacco di guai. Ma tant’è, per il momento ci
crogioliamo con i pass per goderci i concerti dal palco e fotografare
i BlueBeaters così vicini
che nemmeno i loro dentisti potrebbero sperare tanto. E per chi, come
il sottoscritto, ha la passione per la fotografia (oltre che per lo Ska) è stato un piacere immenso godere di tale privilegio.
Dunque,
prima che me ne dimentichi, approfitto fin da subito per ringraziare
chi ha reso possibile tutto ciò, e in particolare Elena alla Colorsound,
Claudio Ongaro, Beatrice e la V2,
Gigi e i BlueBeaters tutti.
Così,
ridendo e scherzando, in poco più di un mese mi son goduto quattro
concerti della band iniziando il 23 marzo al Live Club di Trezzo,
passando per i due memorabili show al Rolling Stone di Milano, e
finendo inaspettatamente il primo maggio a Bergamo.
Va
subito fatta una premessa. Chi è abituato ad assistere a concerti Ska
in ambienti piccoli, con una platea di poche centinaia, quando non
decine, di unità, fatta spesso degli stessi inossidabili rudies, veri
appassionati del genere, si troverà decisamente spaesato. Il dubbio
sarebbe legittimo: “ma non è che ho sbagliato posto?". Il
successo, penso strameritato, che i BlueBeaters
stanno avendo sulle radio, e non solo, da qualche mesetto ad oggi, ha
fatto avvicinare a questa musica un pubblico molto eterogeneo,
composto da una fauna che tocca a 360 gradi tutto quel che passa tra i
centri sociali, il pubblico da discoteca, e quelli per cui la buona
musica è quella di erretiellecentodueecinque e simili.
La conseguenza
è che ai loro concerti si trova una folla sterminata di giovanissimi
e giovanissime in delirio come non si è abituati a vedere ad un
normale concerto Ska e che, diciamolo, un pò ci fanno anche storcere
il naso. Ora, non perdiamoci in discussioni noiose su ciò che fanno
gli altri; diciamo che noi appassionati di Ska siamo piuttosto snob [Rude
Snob],
in senso positivo, gelosi ed orgogliosi del fatto di appartenere ad un
genere di nicchia, di ascoltare musica del tutto sconosciuta al grande
pubblico, ma viva, coinvolgente, con una storia, un’anima e un
calore che, spesso, altri non hanno.
I
BlueBeaters sono orgogliosi
di suonare lo Ska, glielo si legge in faccia ogni minuto di un
loro concerto. Lo fanno bene, da ottimi musicisti,
divertendosi, trasmettendo quelle “positive vibrations" che da
tempo non si provano nel panorama Ska. Allo stesso tempo, hanno anche
trovato una formula perfetta, originale, commercialmente vincente ma
senza snaturare di mezza virgola la musica che suonano. E’ questo
che mi piace. Non sono i BlueBeaters
che si son dovuti adeguare al mercato discografico; è il mercato che
si è adeguato a loro. Come dire, lo Ska è questo, prendere o
lasciare. Ciò che ne segue è lì da vedere: i BlueBeaters
hanno successo, vendono un sacco, li si sente dappertutto. Bene, viva
i BlueBeaters. Se lo
meritano. Io li invidio.
Detto
questo, veniamo ai concerti. Il primo, quello al piccolo Live Club di
Trezzo d’Adda è anche il primo del tour, ma non credo che rimarrà
negli annali. Ammassati come sardine, un caldo da star male e
un’acustica non all’altezza che a tratti infastidiva anche la
band, rendono la serata un pò freddina. Nonostante ciò, la reazione
del pubblico è, come poi sarà ovunque, di delirio e abnegazione
imperitura, e i commenti di fine show sono all’insegna dell’estasi
più totale di fronte a cotanto spettacolo. Noto che molti non sanno
che i BlueBeaters sono una
cover band, così molti si chiedono chi di loro abbia scritto
“Artibella", ma altrettanti sono quasi certi che un paio di brani
siano di Bob Marley. In questo
senso sono orgoglioso del mio snobismo verso lo Ska, come dicevo
poc’anzi. Ballare è impossibile; se ci provi, arrivano certe
gomitate ad alzo zero, spinte, calci e allora lasci perdere. Qualcuno
si esibisce in uno stage dive, qualcuno mi salta sui piedi. Mai più
in prima fila, non ho il fisico. Quegli anni, formidabili, sono
passati; qualcuno potrebbe quasi chiamarmi papà! Lasciam perdere.
La
scaletta. Forse la cosa che mi ha un filino deluso è stata la
scaletta. Ma non tanto i pezzi suonati, quanto il fatto che in tutti i
concerti hanno suonato sempre gli stessi brani e sempre con lo stesso
ordine, anche se, detto tra noi, non è che poi la cosa si percepisca
più di tanto. Dopotutto, “The
Album" è suonato quasi tutto (manca solo Desperate Lover), gli
inediti non mancano, le sorprese erano sempre dietro l’angolo, e poi
ogni pezzo è storia a se. Il fatto è che ho un ricordo risalente al
’96, o giù di lì, periodo nel quale i BlueBeaters suonavano una
versione da urlo di “Messico e Nuvole" di Conte,
quindi, sapere già in partenza cosa avrei ascoltato, sgretolava la
speranza di godermi quel pezzo che non finiva mai. Rifatela, no? Che
vi costa??
Torniamo
allo show di Trezzo. Nonostante le carenze acustiche di cui ho
parlato, le sorprese non sono poche. Conto un tot di nuovi brani, un
numero variabile da 5 a 7, a seconda di quando si son visti i
Bluebeaters l’ultima volta. Artibella e Here I Come , a dire il
vero, è già un pò che si sentono.
Già
dal principio ci si mette in un ottimo “mood for ska".
La
band non esordisce più con il classico strumentale “A Shot In The
Dark", bensì con un omaggio, doveroso, ai fondatori di tutto
quanto, gli Skatalites. Ecco
dunque, che il concerto si apre con “Skaravan". In pochi la
conoscono tra il pubblico, ma chi se ne importa. Si balla. Tra le
altre novità, un solo pezzo non appartiene alla tradizione
ska/rocksteady/reggae. Si tratta di “out of time" di Mick
Jagger e cantata negli anni ’60 da Chris
Farlowe. Il pezzo è molto più trascinante dell’originale,
sembra fatto apposta per i BlueBeaters.
Capita l’antifona, dopo un paio di giri, il pubblico sta già
cantando a squarciagola “baby baby baby, you’re out of time, I
said baby baby baby you’re out of tiiiiiiiiiime" e via dicendo.
Gli altri pezzi inediti mostrano quanto, come dicevo all’inizio, i
BlueBeaters tengano a riproporre brani più o meno noti della migliore
tradizione della musica in levare. Così, Dennis
Brown rivive degnamente in un paio di classici, rivisitati
piuttosto fedelmente, come “somebody has stolen my girl" e “Here
I Come", con ennesimo coinvolgimento del pubblico in un gustoso
sing-along da curva sud. Dopo di ché, “Party time" degli Heptones
scivola via tranquilla e rilassata, molto reggae e con una spruzzata
di soul, tanto per gradire. Con gli Skatalites
si sono aperti i concerti (Skaravan) e quasi si chiudono. Prima di
terminare lo show con “I don’t know why I love you but I do",
ecco infatti “Nimrod", skankeggiante alla grande.
Che
Giuliano Palma sia un animale da palcoscenico si sapeva, ma le sue
smorfie, il suo look, i suoi movimenti e il modo di ballare
colpiscono. L’idea che si ha è che una grossa fetta del pubblico
sia ai suoi piedi. Potrebbe dire qualsiasi cazzata, leggere le estrazioni
del lotto, che di tutta risposta riceverebbe un boato di
approvazione incondizionato. Come dicono le mie amiche, Giuliano fa
molto “tipo". Lo penso anche io, anche se non so bene che
significhi. A dire il vero tutta la band incute un certo rispetto:
occhiali neri, vestiti elegantissimi, un fare molto professionale, un
affiatamento particolare. Questo affiatamento è molto genuino e
colpisce. Tra di loro, si complimentano, si abbracciano, si
applaudono. Come lo stesso Gino
Paoli ha avuto modo di dire, i Bluebeaters
mettono la passione in ciò
che fanno. E sul palco lo si nota tantissimo. E’ una cosa bella,
genuina, quasi tenera.
Come
detto, il concerto di Trezzo non è stato tra i più memorabili a
memoria d’uomo a causa di problemi di impianto, acustica, densità
abitativa e temperature troppo giamaicane. I due concerti di Milano,
il 9 ed il 23 aprile, li ricordo più volentieri. Innanzitutto perché
ho avuto la possibilità di usufruire di un accredito come fotografo
ufficiale del miglior sito ska del continente (SkabadiP),
che mi ha permesso di godere lo spettacolo dal palco e dalle balconate
del Rolling Stone, in secondo luogo perchè a Milano c’era la
sorpresa. Quale sorpresa?
Pazienza che ci arrivo.
Gli
show dei BlueBeaters
iniziano con l’ingresso di Patrick “Mister Melody" Benifei,
pianista e tastierista. Un saluto, mezzo inchino e si siede al piano.
Inizia con una serie di accordi, molto seri e gravi, mentre uno alla
volta fanno il loro ingresso sul palco gli altri membri della band:
tutti, tranne il Re. Va detto, per onor di cronaca, che in quel
momento, chi riscuote maggior successo è sempre e comunque Bunna,
bassista nei BlueBeaters,
cantante negli Africa Unite.
Detto ciò, ognuno al suo posto e si attacca con Skaravan. Sulla coda
di quest’ultima, partono le note di Tell Me Now; Cato si avvicina al
microfono e presenta il gruppo:
-Buonasera.....
Il
pubblico risponde entusiasta........
-The
BlueBeaters!!!
Idem
come sopra.......
-Ho
detto, The BlueBeaters!!!!
Ancora come sopra ma alla settima potenza.
E Cato, comprensibilmente soddisfatto, passa a
presentare la band.
-Mr Melody, Cato, Ferdi Bombodrummer, The
Parpaglione, Mr T-Bone (sarebbe poi Gigi), Bunna........ ne manca solo
uno! The King!!!
E così, con uno splendido completo gessato,
ecco che si fionda sul palco a tutta velocità, Giuliano, the King,
Palma. Noi fans applaudiamo a braccia levate, altri sono in preda a
delirio collettivo.
Giuliano balla, salta, urla, ride, si contorce
e si attorciglia, si sbraccia ma non si scompone. Pare una trottola.
Si inventa espressioni del viso e del corpo stranissime. Tutto il
concerto così. Forte davvero.
Di Giuliano ho un ricordo milanese
della metà anni ’80. Dopo il periodo punk rock lo ricordano in
molti come indiscussa “voice" dei Casino Royale. Già con una voce
caldissima e dall’inglese pressoché perfetto, ma con una maggior
staticità sul palco, lo ricordo in una versione mozzafiato di
“Sixteen tons" che era solita strappare applausi chilometrici.
Sembra ieri e son passati 15 anni.
Comunque, bando alle divagazioni. A Milano ho
avuto la fortuna di essere a ridosso del palco, tra la band e il
pubblico. Del primo quarto d’ora del concerto non ricordo nemmeno
tanto, visto che ero intento a scattare una foto dietro l’altra. Così,
Tell Me Now, World’s Fair e Artibella scorrono veloci, senza che
quasi me ne accorga. Noto che tutti cantano Artibella a squarcia gola.
Non si tratta di fans di Stranger
Cole, bensì di fans di Napster.
Artibella è una delle inedite dei BlueBeaters
che si trovano sul controverso sito americano [Napster è un
programma, non un sito!].
I brani del disco sono accompagnati dal pubblico con una
precisione impressionante. Non mi è mai stata molto chiara la misura
del successo di Giuliano e soci, al di là delle 12.000 copie (!!!!)
dell’Album vendute solo su internet, e alle quali vanno aggiunte
quelle vendute nei negozi; però qui ci sono un calore e una passione
degne di chi è sulla breccia da decenni. Tutti cantano, tutti
ballano. E chi sono, i Beatles?
Alla prima inedita, Somebody Has Stolen My
Girl, il pubblico si calma un pochino. Mi defilo sulla balconata e mi
godo il concerto dall’alto. Sono in tantissimi; visti da lassù è
una cosa immensa, sebbene il Rolling Stone non sia un posto enorme.
Trovarne uno, dico solamente uno, che non balla è impossibile. Vicino
a me, due americani continuano a ripetere: “cool, wow, they’re
cool". Come se la buona musica la facessero solo loro.
Poi arrivano Let Him Try e ancora See You
Tonite, con i classici cori “AAAAA-AAAAA" belli precisi e di
stretta competenza del pubblico.
Ai fiati di Gigi (Mr.T-Bone) e del Parpaglione
il compito puntuale di stupire con assoli incantevoli. La sezione
fiati degli Africa Unite
mostra tutto il suo affiatamento (battutona fantastica) e il pubblico
apprezza. Gigi ha una capacità polmonare, testimoniata da una sua
radiografia del torace in esclusiva per SkabadiP,
che ha dell’incredibile. Mi chiedo dove vada a prendere il fiato per
certi assoli, al termine dei quali, la mia amica Monica si gira e un
sincero apprezzamento le nasce dal profondo del cuore: “minchia!"
“Out Of Time" inizia un pò in sordina.
Nessuno la conosce, anche se il ritmo è di quelli coinvolgenti. Il
testo non lo si conosce e non si canta, ma quando arriva il ritornello
ci si scatena come se quella canzone l’avesse scritta ogni singolo
possessore di un biglietto per quella serata. Lo stesso ritornello,
sul finire della canzone va in un crescendo vorticoso e così,
inevitabilmente, si è tutti li con quel “baby baby baby you’re
out of time, I said baby baby baby you’re out of tiiiii-me" che
poi non ti lascia più anche dopo il concerto. Decisamente azzeccata.
Un mini break per riprendere fiato, due parole
di un Giuliano sinceramente emozionato per l’accoglienza e la
partecipazione del pubblico e si riparte con due classicissimi: Gimme
A Little Sign e Wonderful Life. Il coinvolgimento è totale, la
partecipazione è di quelle massicce. Giuliano sembra avere il
pubblico in palmo di mano e il feeling è totale. Così è tutto un
“just gimme a little sign girl, oh my darling........", e quasi
una liberazione quando si tratta di dire che dopotutto “don’t need
to run and hide.....it’s a wonderful wonderful life".
Cambio della guardia al vertice e qualcuno
rimane un filino sconcertato dal vorticoso intrecciarsi di strumenti.
Io do il basso a te, tu dai la chitarra a me. Il microfono me lo
piglio io. Siamo a “Comin' In From The Cold": canta Bunna,
Giuliano va alla chitarra e Cato al basso.
Una cosa tranquilla, uno
pensa. Invece no. No perchè sulle note di questo pezzo, i BlueBeaters
si sono inventati un ballettino sbragamutande da schiantare. Una roba
tra Full
Monty e le olimpioniche di nuoto sincronizzato che consiste nel
muoversi in perfetta sincronia e dove ogni membro del gruppo distende
posteriormente una gamba e contemporaneamente flette il ginocchio
opposto e suona. Poi, sempre al ritmo della canzone, il movimento si
ripete con l’altra gamba e l’altro ginocchio. Il tutto ripetuto un
tot di volte. Bellissimo. Devo averli immortalati nel momento topico
del balletto, forse qua sotto.
Ma se uno pensa che le sorprese siano finite,
si sbaglia di grosso.
A Milano i BlueBeaters
giocano un pò in casa, l’occasione è di quelle speciali, c’è un
groove particolare; dunque, dalla penombra e tra l’incredulità
generale, spunta un Gino Paoli
molto rude. Three piece suit nero e occhiali da sole.
-“Che cosa c’è......c’è che mi sono
innamorato di te......" Credo di non sbagliarmi se dico che Paoli
sembra quasi intimorito. Sotto di lui orde di giovani stipati e
pressati all’inverosimile, sudati, ondeggianti come una marea umana,
lo osannano, lo cercano, gli dedicano cori da Wembley.
Non penso che questo sia il tipo di pubblico a cui Paoli
è abituato.
Decisamente non lo credo. Il 23 aprile, giorno della
replica del concerto al Rolling Stone, me ne stavo tranquillo a
ballare sulle gradinate del locale quando un tizio di fianco a me mi
dice: “ma tu lo avresti mai detto che un giorno ti saresti trovato
qui in delirio per Gino Paoli?". Effettivamente non lo avrei mai
pensato, così gli dico: “però credo che nemmeno Gino Paoli avrebbe
mai detto che un giorno si sarebbe trovato a cantare per un pubblico
di adolescenti in delirio". Il saggio Rude Boy (il vero Rudie non ha
età, yeah!) si esibisce anche in “Domani" e dopo un timido
saluto, raccoglie applausi caldi, affettuosi e sinceri e, così come
se ne era arrivato, sparisce nella penombra. Segue un attimo di
smarrimento. La band si riorganizza, il pubblico è leggermente
incredulo. “Ma hai visto?" “Ma che tipo", “Bello, non me
l’aspettavo" e via di questo passo.
Segue “There’s a Reward", e anche qui si
ripropone il balletto di cui ho parlato prima ma con due modifiche:
Parpaglione e Mr T-Bone abbandonano i loro strumenti, e tutta la band
si mette di fianco, il destro per la precisione. Non so voi, ma io li
trovo geniali.
Ancora quattro brani, Here I Come, Party Time,
I Don’t Wanna See You Cry e la splendida Never never never, e la
band saluta e se ne va.
Ma dal momento che “the show must go on",
ecco che dopo un minutino di richiami, “biiiiiiiis", “fuo-ri,
fuo-ri" e via dicendo, ricompaiono tutti tranne Giuliano per partire
con il pezzo che un tempo apriva il loro concerti: la Manciniana
“Shot In The Dark". Poi, sempre scattante, saltellante e di corsa,
riecco the King, per le ultime 5 canzoni: “Stop Making Love",
“Believe", “How Many Times", “Nimrod" e per concludere
“I Don’t Know Why I Love You But I Do", con dedica introduttiva
al pubblico dei BlueBeaters
(“senza il quale suoneremmo lo Ska in qualche cantina") e con
Angelo Parpaglione che scalda i convenuti col suo alto sax in versione
vintage.
Il concerto è finito e la band lascia il palco
sulle note di Guaglione, la sigla di chiusura. E’ una vecchia
traditional nostrana, la cui ottima versione rocksteady è suonata
dagli orobici Orobians
nel loro album.
Così, i BlueBeaters
lasciano gli strumenti e ballano abbracciati sul palco. Una serie di
inchini, ringraziano il gentile pubblico, e arrivederci a presto.
Due parole le spendo per il concerto di Bergamo
del primo maggio, organizzato dalla CGIL.
Nonostante il brutto tempo, la gente è accorsa in massa e non so
quante migliaia di persone ci fossero. E’ stato
un concerto particolare per varie ragioni. Innanzitutto perchè
era l’ultimo del tour, poi perchè era in un luogo molto suggestivo,
nello spazio aperto nell’antico Lazzaretto della città, poi perchè,
per una volta, ho potuto andarmene ad un concerto a piedi, ma
soprattutto, perchè ho potuto godermi ancora un pò di backstage, e
corrompere chi di dovere per fotografare la serata da posizione
privilegiata. Grazie ancora Gigi, grazie Claudio. Anche in questo
caso, ho avuto la possibilità di piazzarmi praticamente dove volevo e
fotografare la band in lungo e in largo senza che nessuno dicesse
alcunché.
In conclusione ribadisco come i concerti dei
BlueBeaters siano un’esperienza che da un sacco di tempo non mi
capitava. Calore, passione e divertimento si fondono con una
professionalità tutt’altro che da prime donne. Non credo che il
successo abbia dato alla testa alla band, e lo dimostra il fatto che
dopo questo tour, ogni membro del gruppo sia tornato sulla propria
strada, alla propria band di appartenenza per continuare con altri
lavori e altri tour. I BlueBeaters potrebbero fare il pienone ovunque
si esibiscano per i prossimi mesi, ma così non sarà; almeno fino a
quando Giuliano Palma & the BlueBeaters si inventeranno un nuovo
progetto, nuove collaborazioni, nuove cover, nuove sorprese che in
tanti attendiamo con caraibica pazienza.
E adesso, la facciamo sta intervista?????
Lunga vita ai BlueBeaters.
|