IFacciamo
un lungo giro per giungere all’inizio della leggendaria Orange
Street. Questa è, infatti, una "one way street" che dal
mare porta verso l’entroterra e, nonostante che Brentford Road, in
linea d’aria, fosse relativamente vicina, per prenderla
dall’inizio (non lontano dagli attracchi del porto di Kingston)
Robert ci fa attraversare mezza capitale.
"Siamo proprio dei cazzoni: ci guardiamo attorno come dei turisti
al parco giochi", butto là quello che non è un rimprovero a me
stesso ma una constatazione.
"Perché, tu come ti senti?" mi interroga Pizza mentre cerca
di capire cosa stia fotografando il Carloni fuori dal finestrino
dell’auto in movimento.
"Come vuoi che mi senta? Esattamente come un turista in un parco
giochi…con la basilare differenza che, io, Disneyland non la
tollero".
"Cos’hai fotografato vicino a quel bidone di immondizia?"
chiede Pizza;
Marco (senza togliere l’occhio dalla macchina fotografica): "Un
cane che somigliava a Pluto".
Non molto distante da dove inizia Orange Street, passiamo vicino a
Salt Lane e a me viene subito in mente uno di quei primissimi
"shuffle" attribuiti a Clue J & His Blues Blasters
(formazione dal nome inequivocabile) dal quale sarebbe sgorgato poi il
Ritmo Ska ed intitolato, appunto, "Salt Lane Shuffle", uno
strumentale dominato dal trombone di un giovanissimo Rico Rodriguez.
C’è chi è contento di stringere la mano ad un pirla vestito da
Pippo, io lo sono entrando in Orange Street.
Attraversata un’incasinatissima piazza piena di bancarelle, negozi,
magazzini, officine, "taxi", pulmini che partono per tutte
le direzioni, inizia la parte "viva" di Orange Street che
non risulta meno incasinata della piazza che la precede. Kingston
continua a brulicare, è dall’alba che brulica e, a dir la verità,
non smette mai, neppure di notte.
Alla mia destra vedo il grande negozio/grandi magazzini di Joe Gibbs,
un po’ più avanti, alla sinistra c‘è il Techniques Records (e
non solo) shop; tiriamo avanti e, finalmente lo vedo: è il Prince
Buster’s Shack Record Shop.
Tre secondi dopo averlo visto partono le imprecazioni alla Sfiga: il
locale è decisamente chiuso. Tengo per me le bestemmie.
Scendo dall’auto dopo aver ascoltato il nostro driver che ci avverte
che la zona non è, notoriamente, tra le più tranquille della città
e pertanto, okkio!
Che non fosse zona residenziale ce ne eravamo accorti quando, poco
prima, avevamo visto passare un "pick up" dei pulotti
locali: erano in tre, bardati di pesantissimi giubbotti antiproiettile
ancora più caldi sotto un sole al massimo del proprio bagliore e
dotati di un vero arsenale degno di Rambo. Militari così bardati non
vanno in giro senza motivo come nelle dittatture, sono così perché
nella Kingston Town di oggi si spara ben più facilmente che ai tempi
dei Rude Boys.
Solo arrivato davanti alla saracinesca (di quelle a maglia), riesco a
vedere quello che prima non riuscivo per colpa della fortissima luce:
all’interno del negozio ci sono due tipi affaccendati a lavorare di
sega e martello.
Il negozio, con le pareti appena ridipinte di giallo e con graffiti
colorati qua e là riproducenti i famosi loghi delle varie etichette
sfociate dal sound system The Voice Of The People, sembra stia venendo
messo a posto e, con buona pace per le mie velleità collezionistiche,
non c’è neppure un 45 giri nei nuovi scaffali del locale. Neppure
una cassetta!
Chiedo imprecisatamente ad uno dei due se c’era per caso Mr.
Campbell, loro mi guardano, si guardano interrogativi; correggo subito
il tiro: "C’è Mr. Prince Buster?"; loro si illuminano,
certo che c’è, ed uno di loro sparisce dietro la porta del retro.
Cerco di sfogare la mia eccitazione adolescenziale con i miei amici.
Loro lo sanno della mia malattia per la musica ska e, pertanto,
capiscono. Marco, poi, fan dei Madness da quando era piccolo, ancora
meglio.
In trenta secondi spiego al Pizza, che ha avuto la malaugurata idea di
chiedermi se Prince Buster fosse uno famoso, che Prince Buster è un
artista ancor oggi rispettatissimo nella sua patria (ho
successivamente sentito alla radio suoi brani) e le cui canzoni sono
tuttora richiestissime nei club inglesi nonché merce apprezzatissima
tra i collezionisti, oltre ad essere tra le più riprese del genere
ska/rocksteady.
Gli racconto come il Prince, negli anni ’40, era un giovane, veloce
e determinatissimo Boxeur. Che era a capo di una "gang" che
faceva base in Luke Lane (che, con "shuffle" al seguito è
anch’esso un proto-ska), una via posta in una zona tranquilla come
lo era una volta Via Giambellino a Milano e dove, con la sua
combriccola, dava vita a session musicali con percussioni improvvisate
da barattoli, manici di scopa, coperchi, bottiglie etc.
Cecil Bustamente Campbell, ancora lungi dal farsi soprannominare
Prince Buster, ma già noto come "capobastone" di una certa
fama, diventa uomo della, se così vogliamo chiamarla,
"security" del sound system di Coxone.
È un duro Prince Buster e con lui non si scherza: pare che non
solo fosse di una velocità notevole nel tirare di boxe, ma anche che
fosse di un coraggio leonino. Fu lui, infatti, a salvare l’allora
assistente dj Lee Perry da un sicuro accoltellamento da parte del
gruppo di uomini mandati da Duke Reid per mandare a monte la serata di
Coxone.
Nel ’59, Buster dà il via al suo Voice Of The People sound system,
senza dubbio il più innovativo e variegato di tutti.
Dalla stessa porticina in cui era sparito, ritorna il tipo, si fa
vicino alla saracinesca e mi dice che Prince Buster sta arrivando.
Finisco di dire a Pizza che, per avere l’idea della fama che
dovrebbe comunque essere tributata all’uomo che sta per conoscere,
deve immaginare che è Prince Buster l’uomo che ha dato il maggior
contributo al genere ska nei suoi albori; a definirlo nella sua forma,
come dire…canonica che, dalla medesima porta, spunta Lui.
Mi sento
pesantemente attaccata alla faccia un’espressione da beota, vorrei
dirgli quanto amo le sue canzoni, i suoi strumentali, la sua voce. Ma
cerco comunque di mantenere un certo "aplomb" e, dopo le
presentazioni di prassi, gli dico che sarei felice di poter fare 4
chiacchiere con lui per il sito SkabadiP. Lui,
che è in canottiera e che forse stava dormendo mi dice di aspettare
un attimo che esce subito. Dopo un minuto, la porta di metallo alla
sinistra del negozio, si apre.
Dinanzi a me, sfolgoranti sotto il sole, ci sono i denti intarsiati
d’oro (meglio, incorniciati) di un uomo che, come mi è capitato per
diversi artisti suoi conterranei, non dimostra la propria età. Al
sole, Buster rivela le cicatrici che ha sul volto, ricordo di qualche
Rude Boy che aveva, però, sbagliato indirizzo: non si va a rompere le
palle a Judge Dread in persona!
Ha anelli d’oro e collana d’oro. Gli occhi grandi, non da cattivo,
anche se immagino che, ai tempi della gang di Luke Lane, sapevano far
paura.
Bè, la prima cosa che gli devo dire è sicuramente quella che già
stavo dicendo al Pizza: secondo me, dopo aver ascoltato credo buona
parte delle musiche di fine anni ’50/primi ’60, dei vari Coxone,
Duke Reid, The Matador, di Aitken etc. mi sono fatto l’idea che il
ritmo dello ska, nelle sue caratteristiche essenziali, sia nato
nell’ambito del suo sound system.
Nulla di meglio per ingraziarsi la simpatia di Prince Buster. Io, di
questo importantissimo artista caraibico la cui fama è mondiale perché
il suo pubblico è mondiale, non ho mai letto interviste, ma ho colto
nel segno: che il ritmo dello Ska l’abbia inventato lui e (tiene a
specificarlo) i musicisti che per lui hanno lavorato, non è in
discussione, lo dice raggiante replicando ad una mia osservazione
circa i maggiori personaggi che si attribuiscono il merito: "Sì,
è vero, Coxone ha dato il via alle registrazioni dei primi shuffle,
Aitken (Laurel) è stato il primo artista giamaicano ad entrare in
classifica (con "Boogie In My Bones"/ "Little
Sheila", del 1958 n.d.i) con un brano che, anche nel titolo,
richiama il boogie, ma la vera musica Ska, il ritmo originale, sono
stati i musicisti che lavoravano per me a metterlo giù".
No ragazzi, non è presunzione quella di Prince Buster, né il solito
ritornello di molti dei Grandi di questo genere; tutt’altro, è un
dato di fatto e, per pura autocelebrazione lo metto al corrente
dell’analisi che ho fatto a casa mia a Milano ascoltando la musica
giamaicana in mio possesso del periodo tra il ’58 ed il ’63 per la
famigerata "Storia
dello Ska" di SkabadiP, ed il Prince me la conferma in pieno:
"La vera e propria batteria "ska", come evoluzione del
classico ritmo tipico della batteria nel R&B, l’ha compiuta
Arkland Parks, quello noto come "Drumbago", non altri".
Godo del mio intuito che, si badi, è anche supportato dal fatto che
l’unico altro batterista che potrebbe acclamare per se il primato,
ovvero Lloyd Knibbs, nel periodo che ha segnato la transizione da
"shuffle" a "ska" (cioè, il ‘62/’63) era a
suonare sulle navi da crociera. (Ovvero: Knibbs è partito che in
Giamaica c’era la moda dello Shuffle o Boogie che dir si voglia ed
è ritornato che stava per esplodere la moda dello Ska,
all’affermarsi della quale, è questo è banale dirlo quanto è di
per sé evidente, ha contribuito in maniera enorme sotto vari aspetti
tra i quali l’aver letteralmente inventato la batteria
"Burru").
Il personaggio, Drumbago, è sempre stata una delle mie tante
"fisse" nell’ambito ska, chiedo quindi a Prince Buster se
è vero quel che ho letto circa il mitico "Drumbago" che,
alla fine dei ’60, non potendo più suonare la batteria per problemi
fisici, si era messo a suonare il "pennywhistle", un flauto
fatto di bamboo (lo trovate in splendida forma, per esempio, in
"Flute Flavour" all’interno della compila Trojan "The
Wild Bunch" ’95 ed in "Dulcimenia" con i Dynamites in
"The Wild Reggae Bunch" per la Jamaican Gold ’96).
Buster è categorico: "Macché, Parks, il flauto, l’aveva
sempre suonato, lo suonava da sempre; anzi, devi sapere che durante le
registrazioni in studio era proprio lui che intonava la sezione fiati.
Parks aveva un orecchio incredibile: se uno dei fiati era nella chiave
sbagliata, anche di poco, Parks fermava tutti, tirava fuori il suo
flauto, ci soffiava dentro e diceva: "questa è la nota
giusta"; allora tutta la sezione fiati si accordava sulla sua
nota" e la session era ok".
A proposito di registrazioni mi balza in mente una curiosità che fa
parte delle leggende circa il lavoro in studio nel periodo dello ska e
che subito rivolgo come domanda a Buster: " E’ vero che il
lavoro in studio era per lo più improvvisato?".
Anche in questo caso Prince Buster è categorico: "No, no, è
proprio il contrario, da me non si improvvisava nulla, avevamo tutti
gli spartiti ed ognuno di noi sapeva leggere la musica, senza contare
che così facendo, si risparmiava tempo e, quindi, denaro."
Oltre al momento in cui avevamo parlato di Arkland Parks, Prince
Buster, sempre saldamente col suo negozio alle spalle, si illumina con
un sorriso anche quando gli chiedo di un altro musicista da me
particolarmente apprezzato: il sassofonista Val Bennett.
"Era veramente una leggenda vivente, quando io ho lasciato Coxone
ed ho cominciato il mio lavoro come produttore nel 1959 (ben prima cioè
di quando Prince Buster registrò la sua prima canzone "They’ve
Got To Come" nel ’62 n.d.i) Val Bennett era uno dei più
rispettati e ricercati musicisti essendo già famoso per l’orchestra
da lui diretta; i suoi concerti facevano sempre il tutto
esaurito"; Prince Buster mi dà anche una nota di colore:
"Era una vera "star", le donne gli si buttavano ai
piedi in mezzo alla strada; era solito vestirsi in maniera sgargiante
e andava in giro sul calesse era tipo una superstar".
Gli chiedo se il solo di tenore nella sua splendida "Too
Hot" fu scritto od improvvisato al momento dal grande Val Bennett
e la risposta non poteva che essere: "certo, gli assoli non
venivano provati, fu improvvisato al momento, quello era lo spirito di
Val Bennett in quel momento…tutti i musicisti sapevano quali e
quante erano le misure dedicate al solo, cosicché anche i cantanti
dovevano sapere quando dovevano stare zitti o quando dovevano cantare.
Niente spazio per gli errori". Ed errori non ne commetteva
nessuno nel gruppo di musicisti che hanno accompagnato tutte le
session di Prince Buster come Prince Buster’s Allstars, chiedo a
Buster cosa mi può dire di Baba Brooks.
"Era un amico" - esordisce Mr. Campbell – "ha
arrangiato parecchie registrazioni per me, c’è lui nel disco "
What A Hard Man Fe Dead", ed in "Ska-lip-soul" pure;
aveva un magnifico senso del ritmo e la sua Baba Brooks Band
comprendeva praticamente gli stessi musicisti delle mie session, Jah
Jerry alla chitarra, Brevette al basso, Drumbago alla batteria, ed il
caro Dennis Campbell a fare la mono nota in levare al sax". A
proposito dei due dischi appena citati, spiego al mitico inventore di
Judge Dread che speravo di fare incetta di suoi dischi ma che con
rammarico ho costatato che il negozio è in rifacimento. Quasi se ne
scusa: "Vedi, è stato chiuso per parecchio tempo, non avevo
tempo per seguirlo ho affari da seguire a Miami, dove c’è mia
moglie, ora però, lo riaprirò al pubblico e ricomincerò a
ristampare il mio vecchio catalogo". Gli confesso che non è
affatto una cattiva idea, infatti, le copie che ho io dei suoi due
dischi appena citati sono in realtà delle copie pirata, fatte in
Inghilterra, dove pare siano abbastanza specializzati nel riprodurre
senza permesso materiale altrimenti introvabile. Ovviamente Prince
apprezza la mia sincerità nonché consapevolezza del danno economico
che artisti come lui subiscono con poche possibilità di reazione o di
tutela e mi dice, tra le altre cose, che è proprio per tale ragione
che è intenzionato non solo a riprodurre lui tutto il suo catalogo,
ma anche che è seriamente intenzionato a perseguire con ogni mezzo
tutti i contraffattori. Uomo avvertito…
La nostra conversazione continua nell’ambito più prettamente
musicale quando gli chiedo che cosa ha pensato quando i Madness (il
cui nome, com’è notorio, era ispirato dall’omonimo pezzo del
Prince) sono entrati in classifica con "The Prince".
"E’ stata una piacevole sorpresa, sapevo di avere un seguito
continuo dagli anni Sessanta nell’ambiente cosiddetto underground
londinese, ma non potevo immaginare un tributo del genere.
Successivamente ci siamo anche incontrati, sono persone simpatiche
alle quali sono grato di avere reso mondialmente famosa la mia
"One Step Beyond".
Buster è sorridente, ascolta attentamente per capire
meglio il senso delle cose che dico col mio non perfetto idioma; ci
mettiamo d’accordo per vederci per una cena nell’ambito della
quale fare una vera e propria intervista al mio ritorno dal giro
dell’isola, lui mi dice che non c’è problema, di chiamarlo pure
al mio ritorno e mi dà pure il n.° di telefono di sua moglie a Miami
per avere la sua e-mail e fargli sapere alcuni dati in merito ai
dischi tarocchi.
Ci congediamo, lo abbraccio ribadendo la mia felicità nell’averlo
incontrato e, guardando il foglio su cui ha scritto i numeri di casa
sua, entro in auto.
Appena entrano anche Pizza e Marco esplodo infantilmente: "Ma
l’avete visto cos’è simpatico? Ma è un mito! Grande, no? Ti
rendi conto? Ah, ah, ah! L’ho incontrato, Prince Buster!".
È Robert, che nel frattempo aveva messo in moto e si dirigeva verso
dove Orange Street degrada completamente trasformandosi da popolosa in
quasi-desertica, a bloccare il mio post-entusiasmo: "C’è la
polizia, state zitti che gli parlo io" dice con voce leggermente
preoccupata. In effetti, uno dei 3 pulotti che avevo visto sul pick-up
prima di incontrare Prince Buster, con il mitra a tracolla ci fa cenno
d’accostare esattamente dietro al loro mezzo sul quale è appostato
quello di loro col fucile mitragliatore più grosso che abbia mai
visto al di fuori di un cinema.
Ma di emozioni più forti di incontrare l’artista preferito, non se
ne parla neppure, e Pizza chiede ironicamente: "Avete visto come
ce l’ha grosso quello là?". E’ un mero controllo di routine
in una zona "calda" della caraibica Kingston del 2000:
Ragga, Coca e "Gun men" e a me viene in mente una citazione
di Prince Buster tratta dal retro di un suo Original Golden Oldies:
"They have used guns to spoil the fun and force tasteless and
meaningless music upon the land. They
have turned heaven into hell. Even my god is angry, and one will give
an account of their sins on the day of judgement."
A
quest’epoca non potevo sapere che non sarei più riuscito ad
incontrarlo al mio ritorno Kingston a causa di un impegno improvviso
che ha reso indisponibile il dispiaciuto Prince Buster negli ultimi
giorni della nostra permanenza in Giamaica.
La mia frustrazione per non avergli fatto qualche altro milione di
domande "specifiche" oltre a turbarmi ancora il sonno se la
sono sorbita e se la stanno sorbendo tuttora i miei ex compagni di
viaggio.
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